giovedì 12 gennaio 2017

NECROSI

Completamente necrotico, dice, mentre sento il suo ferretto grattare dentro - mi sembra incredibile avere qualcosa dentro di me così duro, che faccia quel rumore di pietra, di minerale. 
Mi ero accorta della decolorazione del mio canino destro a maggio, appena tornata dalla Grecia (più avanti imparerò che si dice discromia, quando ci ammaliamo tutto diventa greco). Non è che il dente fosse malato, stava proprio morendo, era irreversibile. Avevo interrogato prima internet, che subito aveva emesso la diagnosi: necrosi. Poi l'avevo chiesta a un dentista che aveva minimizzato, facendomi una foto del dente e dicendomi di presentarmi dopo sei mesi per riscontrare eventuali differenze. Il dentista era perplesso perché non riusciva a spiegarsi la causa della necrosi. Quindi eravamo rimasti sospesi, sulla soglia, lui incapace di darmi la cattiva notizia, io completamente incapace di accettare la fine.  

Ci siamo conosciute per un laboratorio di teatro e io ti ho subito classificata come etero senza ritorno +  neanche mi piacevi. Poi tu hai cominciato a scrivermi e io, che non sono proprio stragettonata nella sezione relazioni sentimentali, non sapevo neanche come rispondere, volevo quasi farti notare l'errore, o la mancanza di fiuto, ma insomma mi facevi ridere e una sera siamo uscite insieme, perse nella città, alla ricerca di un bar di somali dove poter giocare a biliardo, ma poi i somali non ci hanno fatto giocare e siamo restate a guardarli.
Giorni dopo siamo andate a cena in un posto bianchissimo, dove tu hai mangiato come un dragone e mi hai raccontato tutto della tua famiglia. Io avevo una specie di emiparesi facciale, la bocca, con un dente un po' più scuro degli altri, sospesa in un sorriso permanente da far venire le rughe agli occhi. 
Poi tu parti per uno stronzissimo laboratorio di recitazione. 
Io rimango a Milano, scoprendo quant'è strano sentirsi innamorati a Milano soprattutto se hai trent'anni e ascolti solo la Vanoni. Una città dove la fermata Gioia, quella dopo Garibaldi e prima di Centrale o viceversa, dipende da quale direzione stai viaggiando, si trasforma per la prima volta in un sentimento: la Gioia! Come avevo fatto a non capirlo. Ed era Gioia sempre, sia andando verso Abbiategrasso sia verso Gessate. Comincio a scrivere poesie che la mia terapeuta disprezza con un cenno della testa e assoli di butoh da quaranta minuti che obbligo i miei amici a guardare, senza prendere il fatto che si addormentino come un infausto segno. 

La necrosi - mi ero resa conto un giorno in un'agnizione fulminea - non era comparsa per caso: due anni fa durante un normale allenamento di boxe, mi avevano messo davanti un tipo che aveva la furia negli occhi. Avrei dovuto subito chiedere di cambiare partner, ma ho minimizzato, vecchio rituale d'impazienza, non mi sono protetta, perché dopotutto pensavo di essere invincibile. O che se anche fosse arrivato un cazzotto sarebbe rimbalzato sul viso, sul mio viso da cartone animato, sul mio cuore che è elastico e resistente, non duro e fragile, come il mio canino. 
Quando mi ha tirato quel cazzotto ha cominciato a ridere e io mi sono allontanata subito, non sono mai più tornata in palestra. Mentre mi ricordavo del pugno provavo a ricordarmi la faccia, volevo tornare in palestra, andare da lui dirgli, ecco, ecco, vedi. Neanche lo sai e hai completamente cambiato la mia vita. Mi hai ucciso un dente! 

Praticamente non facevo altro che guardare il mio canino destro e pensare a te. Guardavo il mio canino su qualsiasi superficie riflessa, cercando di vedere se avesse cambiato tonalità dalla sera alla mattina, cercando di cambiare illuminazione e scegliendo l'illuminazione giusta nei giorni in cui non volevo pensare che il mio dente fosse morto. 
Guardavo anche te, cercando di capire se stessi diventando più scura, più assente, se stessi scomparendo. Sei tornata da quel laboratorio, di quei laboratori di teatro stronzi intitolati come fossero orazioni funebri, e ti ho vista ingiallire a vista d'occhio: comincia tutto con il fatto che uno non ti cerca o ti risponde a malapena o non si ricorda cosa piccole che avete condiviso insieme. Al test del freddo il mio canino non risponde: ai miei messaggi tu non rispondi, o quando rispondi mi sembra di sentire una cortese receptionist che mi chiede se posso esserle utile. La receptionist è il primo segno di necrosi imminente.
Poi piano piano le tue risposte si fanno sempre più vaghe, ti invito fuori e tu prima mi dici che c'è una cena con il nonno e poi tiri fuori anche un farmaco nuovo che ti hanno cambiato e ti dà sonnolenza e mi viene da dirti, va bene, bastava il nonno come scusa, non c'è bisogno del nonno sotto psicofarmaci.

Un giorno decido di andare dal mio dentista d'infanzia, quello che sembra un elfo elegantissimo con la mascherina bianca sul viso. Mi dice che è morto, ma non cambierà nulla, che il dente devitalizzato è solo un dente meno idratato, un po' più fragile, con le mani fa un piccolo nido dove sembra accarezzare il mio canino immaginario, sembra promettergli un futuro comunque dolce e protetto. 

Io in quei giorni sto malissimo perché mi sembra di non sapere più cosa sia vivo e cosa no, mi maledico perché, chi si è messa proprio davanti a quel pugno? Non mi so difendere il lato destro: ho una cicatrice dovuta a una brutta portiera che si è aperta sul ginocchio destro mentre ero in motorino a Roma, ho due denti del giudizio già cavati sul lato destro e non mi sono protetta davanti a quel diretto. Due mesi di boxe, non una grande passione e il risultato è un dente morto. Per giorni passo il lutto, il lutto per questo piccolo pezzo di me "mortificato, incapace di riprodursi" come dice l'etimologico. Tutti mi dicono che è lo stesso, che un dente devitalizzato non cambia nulla, che potrò amare, vivere, riprodurmi anche con un dente morto in bocca. Un giorno, nelle mie continue meditazioni sul dente morto, mi dico che allora sarà il mio canino destro un piccolo promemoria a futura difesa: a ricordarmi di proteggermi da chi non si rende conto di quanto sia forte il suo diretto, da chi non sa quanto io sia fragile. A ricordarmi che ciò che è duro muore. 

Scegliamo il giorno della devitalizzazione. Quella mattina passo in rassegna tutti i rituali funebri del mondo per scegliere quello per il mio canino: ci sono quelli dei vichinghi che si fanno seppellire con le proprie schiave ma solo dopo averle fatte stuprare da tutti gli altri guerrieri, c'è una tribù in Africa dove quando muore il marito ci si taglia l'ultimo pezzo di tutte le falangi, in Madagascar invece continuano a danzare con il feretro per giorni e giorni in modo che non si addormenti nella sua strada verso l'aldilà. Alla fine con la mia amica accendiamo un incenso e ringraziamo il canino per avermi servito così bene tutto questo tempo e nel mio cuore gli chiedo scusa per non averlo protetto.  
Il dottore prende un lungo binocolo che invece di guardare all'orizzonte entra dentro il mio canino, dove trova gli ultimi resti di una battaglia persa, i nervi rantolanti, e sigilla il dente come un piccolo tumulo nella bocca. Parliamo di tutto durante la devitalizzazione, parliamo della sua passione per il Tibet, della colatura d'aglio, del suo assistente peruviano che non torna in Perù da trent'anni per scaramanzia. Sembra uno di quei funerali allegri in Africa, dove si festeggia l'anima del defunto. Eccoci, dice il dentista, tutto perfetto, non cambia nulla, né per funzione né per estetica. 
Quel giorno esco dallo studio del mio dentista elfo con un sollievo enorme. Triste ma libera. 

Riguardo le poesie che ho scritto per te. Fai rima con -parola, -vola, -scuola ma poi mi rendo conto che l'unica parola che fa rima con il tuo nome è sola. Ti scrivo e usciamo. Miracolosamente ti presenti. Passeggiamo per Milano e tutto è come nei sogni di me e te che passeggiamo per corso Garibaldi, salvo che ci stiamo praticamente consegnando al patibolo. Ti racconto del mio dente morto e tu mi mostri una piccola stella d'oro che hai attaccato sul canino inferiore.
Andiamo a Corso Como 10, c'è la mostra di Araki e questa cosa rallegra entrambe. C'è tutto quel sangue, quei corpi femminili legati da corde, i fiori talmente colorati da essere lugubri. I pupazzetti dei dinosauri mutilati sono buffi. Usciamo e scendiamo in metro - non prima di aver provato goffamente a invitarti a cena ma tu hai sonno/nonno/e altre scuse -, superiamo i tornelli e io:

IO: Ti chiedo un favore ora.
TU: Cosa?
IO: Ora guardami negli occhi e dimmi che non esiste la benché minima possibilità che io e te si costruisca una relazione. 
(Sei dolce, mi guardi negli occhi e rispondi)
TU: Sono molto molto molto innamorata di una persona.

Continuiamo la conversazione senza particolari drammi, tu mi dici che ti ho dato tanto, io scherzando ti dico che la tua storia non funzionerà, tu dici che la cosa ti sta già facendo male, io segretamente ci godo, poi scopro che si chiama come mi sarei chiamata io se fossi nata maschio, come se in una vita parallela saremmo potuto essere insieme. Nei toni siamo come due persone che parlano di progetti per la serata prima di dividersi tu verso Gessate, io verso Porta Genova, tu incontrerai Gioia alla fermata dopo, io non proprio.
Sento che da qualche parte in mezzo al petto un dolore si spegne. Devitalizzato. Era quella piccola stretta di speranza che mi dava angoscia, era la possibilità di vederti ancora che mi torturava. Ora quel dolore ha smesso di esistere. Certo, quella specie di effervescenza è morta ed è morto anche qualcos'altro a cui adesso non so dare un nome. Ma almeno è finito il dubbio.
Devitalizzata. Non è la stessa cosa come essere vivi, ma all'apparenza non cambia nulla. Nè per funzione, né per estetica.

Oggi c'è anche la luna piena.  La prima luna piena del 2017. Una luna piena di luce riflessa, una luna sbiancata dal freddo, una luna che rinomino Luna del Mio Canino Morto. Che dedico a te, Piccolo Dente di Stella.

NECROSI: dal greco nekrosis, mortificazione che si riferisce alla radice sanscrita naç- perire che è in nac-ami, sparisco, mi perdo, perisco che si confronta con lo zendo naçu, cadavere sino pure al latino nex, morte.

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