lunedì 22 marzo 2021

vecchia

Mi sono ritrovata vecchia senza neanche saperlo. Me l'hanno detto un giorno delle persone più giovani di cui però mi sentivo coeva. E invece mi ero macchiata della colpa di essere vecchia, passato il tempo in cui potevo sentire il mio sangue schizzare forte. Il mio sangue ora solo calmo. Mi sono detta che non ero poi vecchia. 

Ma poi ho pensato che sono i vecchi quelli che vivono meglio, se sanno essere vecchi. Io posso parlare del mio essere vecchia prima di esserlo: nell'essere vecchio c'è una conoscenza dei gesti, del proprio ritmo, la misura di un angolo della casa, il sapersi guardare da una reazione impetuosa, perché la si è attraversata mille volte. Questo mi piace dei vecchi, che si fermano, rinunciano all'azione perché sanno che è illusoria. Attraversano il tempo guardandosi da fuori, i vecchi.

Eppure quando mi dicono che sono vecchia lo dicono sempre come se fosse una cosa brutta. Mi sono chiesta se nell'etimologia della parola vecchia ci fossero radici marce, gengive senza denti, capelli sfibrati, culi che si sciolgono e si attaccano alle ossa. Mi sono chiesta se ci fossero le impressionanti vagine imbiancate delle vecchie. 

Ma vecchio ha una radice etimologica sorprendente nella sua ovvietà. È un diminutivo di vetusto, da vetus, vecchio in latino, che a sua volta deriva da vatsas, o vatasas, che in sanscrito significa anni. Con il suffisso -ustus diventa aggettivo come robu-stus. 

Vecchio quindi è annoso, un annoso problema e una persona annosa, una persona che ha fatto degli anni la sua caratteristica. C'è quella affascinante cesura in vatasas, come uno sforzo e un'imprecazione. Ma vataaaaasas!

Che a ogni anno libero un'imprecazione mentre mi accorgo che vorrei essere vecchia senza diventare vecchia. 

Diverso è il caso dell'etimologia inglese, e quanta diversità comunica questa biforcazione - dove old deriva dal protogermanica althaz, che significa adulto, cresciuto. 

Loro crescono, noi accumuliamo anni.

Io rimango ferma.