giovedì 19 luglio 2012

ADULTERIO

è recente una mia nuova incursione nell'adulterio. Dal latino ADULTERUM, che si dice per AD ALTERUM - sottinteso IRE, andare ad altri. L'adultero quindi è colui che va ad altri. Manca ancora il nome per me, che sono l'Altra. E' forse questo quello che mi piace meno, non c'è un nome per l'Altra. Anche se tecnicamente, l'Altra è colei che Altera la coppia nel senso che la rende altro da una coppia.

Da piccola pensavo che adulterio fosse qualcosa che facevano gli adulti. Ora mi sembra che adulterare sia un blando tentativo di restare bambini e giocare all'amore con il maggior numero di persone.

domenica 6 maggio 2012

GRATTACIELO

Nelle città ci sono i grattacieli. Che a me detta così, i grattacieli sembra una cosa porno. Oppure sporca. A milano ce n'è uno che sembra un'unghia appuntita e si vede da Cardona, si vede percorrendo tutto corso Garibaldi. Appuntita come le unghie delle donne ambiziose e tristi di questa città.

A Milano ce n'è un altro che è ora tutto blu, perché qualche anima esperta, reduce da milioni di anni di occupazioni sa sempre come rimettere in piedi un impianto elettrico in disuso. 

(foto di Diego Weisz)
Grattare il cielo. Grattare deriva da una forma germanica KRATTON da cui deriva anche la voce Kratze, rogna. I grattacieli sono gli edifici dei giocatori d'azzardo. Costruire una cosa altissima che rischia di grattare il cielo, raschiare la superficie del cielo per vedere se si vince qualcosa. Se rimangono in disuso, come molti grattacieli a Milano, rischiano solo di sembrare desolanti dita medie puntate al cielo. Questo grattacielo che sto frequentando ora a Milano sembra una piuma. E' un solleticacielo. Spero che resti in piedi a solleticare il cielo altri mille anni. Ci sono performance, concerti, gente che sta bene, persone a forma di esseri umani.
Soprattutto stasera eravamo tutti dominati dal meraviglioso corpo nudo di Silvia Calderoni. Così potente. Translucida. Dolce. Miserrima.
Rotolare il corpo in mezzo ai cavi scoperti di questo grattacielo abbandonato, la polvere di cemento che la avvolgeva come un'aura santa.
La Calderoni è una che potrebbe grattare il cielo fino a farsi sanguinare le dita, anche se non fosse necessario far sanguinare le dita. 
Domani sera vado là a dormire con il mio piccolo sacco a pelo.

mercoledì 2 maggio 2012

SCIROPPO


Oggi i miei colleghi preferiti parlavano di madri/suocere da sciropparsi, nel senso di averle intorno senza volerle necessariamente intorno. Allora ho chiesto perché il verbo sciropparsi fosse usato con una connotazione così negativa dal momento che lo sciroppo è una cosa dolce e buona. E il mio amico mi ha detto che in realtà lo sciroppo in altri tempi e contesti era una cosa disgustosa che serviva a curare. Aveva quindi ragione Mary Poppins. Non ci sono gusti predeterminati per lo sciroppo. Anche se abbiamo continuato, per qualche bizzarro motivo, a pensare che quello cattivo debba per forza curare e quello buono debba guastare.

Ma la radice etimologica rivela altro sullo sciroppo:
dal latino SYRUPUS, SIRUPPUS, CIRUPPUS e questo a sua volta dall'arabo SCIARAB, SCIURAB, bevanda. A sua volta dalla radice SCIARIBA, bere.

Perciò siamo noi che abbiamo aggiunto additivi. Abbiamo aggiunto zucchero, erbe, melassa, fiori o altre sostanze. Lo sciroppo era solo qualcosa da bere. Era solo acqua.

sabato 21 aprile 2012

BAVA

Ero qui che stavo ricamando a punto croce l'iniziale della mia pronipote che nasce tra poco. Ecru lavorato a mano con filato giallo canarino, pesca, rosato. Di fianco all'iniziale del nome ho cucito un fiore a sei petali con le bordature pervinca. A destra dell'iniziale una piccola farfalla che fa pendant.

Poi mi sono ricordata della BAVA.

Su quest'opera di artigianato femminile a porte chiuse, la mia pronipote si prodigherà in acrobazie idrotecniche regolari.

Bava. in francese per esempio baver vuol dire sia sbavare sia discorrere. E non starò qua a fare battute sui francesi, che, come vedete, si fanno da sole.
L'origine è un supposto latino popolare BABA che la Crusca attribuisce ai suoni labiali che esprimono appunto la formazione della bava sulle labbra, quell'umore viscoso che presto o tardi verrà sostituito dalle parole.

Però per esempio la bava dei bachi diventa seta. Seta con cui si producono filamenti che poi utilizzo per fare decori sui bavaglini su cui sbaveremo.

Se fossimo bachi potremmo sbavare seta.


mercoledì 18 aprile 2012

CASA


sconsiglio di cercare casa a milano durante un periodo di messa in discussione di se' o lieve disagio esistenziale. intanto certo, a me piace guardare le case. e puntualmente entrando gia' mi affeziono, a quella moquette sbiadita, oppure al nitore della casa, al fatto che e' piena di mobili o al fatto che e' cosi' vuota. Le conversazioni pero' sono qualche volta difficili, perche' difficilmente la prima cosa che ti colpisce di una casa e' il possibile coinquilino. La prima cosa che ti conquista e' il prezzo, se basso, la seconda e' l'aspetto fisico della casa, nel mio caso acquistano punti le case ai piani alti, le case nei cortili interni, le case vecchie, si' anche un po' malmesse. Cristo, abito in Europa. Se non mi godo il vecchiume cosa resto a fare?
Quindi la conversazione con il coinquilino/a e' tutta una bizzarra tensione verso la conquista di un territorio. E' un esercizio di manipolazione rilassata. E' una conversazione schizofrenica interna in cui la parte normale cerca di dire alla parte concupiscente di stare calma, di non parlare troppo, di non venderti con troppa disperazione. Ma poi le risposte di mail arrivano impietose:

Galateo da affittamento e suo linguaggio in codice:

"una mia amica mi ha chiesto di vederla e le avevo promesso la precedenza" si puo tradurre con "piuttosto che dare la stanza a te l'ho data a uno spacciatore ucraino con il piercing sui capezzoli a forma di croce uncinata'.

"mi sono dimenticata di dirti che ci sono quattro mesi di caparra da versare e due mesi di affitto anticipato da versare" // "ti ho visto e mi hai dato cosi' tanta fiducia che sono tentata di chiedere un controllo fiscale e farti sorvegliare dal Sismi.

"ci sei stata cosi' simpatica, ci sei piaciuta subito, ho parlato di te a mia madre e mia sorella ma poi alla fine abbiamo dovuto scegliere un'altra persona."
Questa e' la variante da stronza del grande fratello, la traduzione e' piu' o meno "puzzi e volevamo qualcuno figo".

Casa deriva dal latino casa che a sua volta deriva dal greco KASA, capanna e propriamente dalla radice SKA greca/ CHA sanscrita. con il senso di coprire. CHAyA e' ombra. Mi piace molto questa connessione tra casa e ombra. Non avevo mai considerato la casa come qualcosa che ti fa ombra. E non avevo mai considerato l'ombra come una possibile casa.
Alla radice SKA si lega il termine alto tedesco SKY nuvolo, il cielo come casa e KAS, in greco pelle.

La pelle come casa.
Forse dovrei imparare a tenere quella come casa.

sabato 14 aprile 2012

TRISTE

Milano, cielo coperto, via Savona in preda ai primi conati da Salone del Mobile. Provo tutta insieme per un momento la tristezza mai provata in vita mia. Non ho nessun valido motivo per essere triste: la mattina sono andata dal parrucchiere, ho comprato l'olio essenziale di ylang ylang, ho mangiato le linguine al nero di seppia, ho conservato l'osso di seppia, vago senza meta, posso andare dove voglio e fare quello che voglio. Eppure mi sembra di spingere un enorme masso dentro me stessa. Quasi come se l'atmosfera fosse difficile da attraversare. Ma non so da che parte arrivi il peso. Se provo a trovare nuovo slancio progressivamente una forza opposta e contraria annulla questo tentativo.

Triste deriva dal latino TRISTEM che qualcuno deduce da TERERE, rodere, consumare. Ma non è quello che sento, non mi sento rosa, se mi sentissi rodere direi che sto rosicando, non che sono triste. Il rosicamento è brulicante, rumoroso, mascellare. No, il mio triste è più legato alla seconda interpretazione che lo riconduce al sanscrito trsta, ruvido, brusco.E ancora meglio l'etimo threostru, tenebre, di conio anglosassone, un grande popolo inventore del tè della cinque, dell'ombrello nero e della tristezza. Vago nelle tenebre. Milano help me, troppo cemento, troppo cemento.

Per ricompensare di tutta questa agghiacciante tristezza - interrotta solo dalla luminosa voce di Massimiliano - leggo di notte un'intervista a Toni Morrison, autrice afroamericana di Beloved, e premio fucking Nobel per la letteratura che fuga ogni dubbio con una frase che mi ricorda d'un colpo cosa sia la scrittura e cosa sia la tristezza:

"I want to feel what I feel. What's mine. Even if it's not happiness, whatever that means. Because you're all you've got."

mercoledì 11 aprile 2012

STANCA

Stanca si usa come aggiunta di mano o di braccio per dire mancino. In alto tedesco troviamo TENC e in rumeno steng, che significano sinistro. L'etimologico è in dubbio sull'origine però. La prova provata è però questa. Sono nata mancina.

E come direbbe la mia mamma, se fosse una mamma che parla dei propri figli in termini negativi, sono nata stanca.

Conosco almeno altri due mancini che sono sempre stanchi. Se volete altre prove ve li posso presentare.

venerdì 30 marzo 2012

FUKUSHIMA

Siccome sono una persona fortunata, oggi mi trovavo a leggere un bellissimo manoscritto che parla anche di Fukushima ma in forma narrativa. Ad un certo punto leggo: Fukushima means "Happy Island". Fukushima significa Isola Felice.

E a parte le tragicomiche riflessioni che si possono fare sulla Storia che ha sempre il beffardo sorriso del Joker - quell'ostinazione ottusa che ci costringe a nominare i quartieri più orridi con appellativi felici come via dei ciclamini in luoghi dove non potrebbero crescere mai, o cittadine americane felici Paradise o Sunshine, posti dove se ti va bene tuo figlio si droga, se ti va meglio prende a fucilate i compagni di classe.

A parte questo considerazioni, mi sono resa conto del perchè preferisco la narrativa al giornalismo. E' il tempo di riflessione. E' una cosa che noto anche nelle persone: quelle che mi piacciono di più, di solito, ci mettono qualche secondo in più a rispondere a una domanda. Di solito perchè pensano veramente a quello che dicono, di solito perchè aspettano una risposta dell'intuito oltre che del cervello, di solito perchè stanno riflettendo davvero su quello che tu hai detto. La narrativa fa lo stesso.
Il giornalismo invece fa così: succede qualcosa, ti dice, ti conta i morti, ti spiega chi, cosa, dove, quando, perchè. La narrativa invece aspetta un po' di più e ti dice cose apparentemente inutili come il significato del nome di un posto, inezie che invece dilatano la percezione degli eventi, ne rivelano un disegno.

Inezie che raccontano il tempo in profondità.


giovedì 29 marzo 2012

SMOG

Smog è una parola inglese composta dai due termini: smoke, fumo e fog, nebbia. Si riferisce a tempi in cui le fabbriche rilasciavano miasmi, fumo di carbon coke e in cui però non era ancora stata flagellata la nebbia. Diciamo che smog non è una parola che può veramente descrivere lo stato attuale delle cosa. Ora, vista la quantità di sostanze che arreda l'aria di Milano in questi giorni, giorni in cui Ataualpa non ci concede pioggia, possiamo ipotizzare parole mostro ben più lunghe e complesse. Monocarbondimetilsolfatoradicalossidrilebenzoapirene. Altro che smog.

Sto cominciando ad avere veramente paura in questi giorni per la qualità dell'aria, sento un pizzicore fastidioso alla gola, gli occhi mi bruciano e però io sono matta, amo la città da morire, letteralmente.


sabato 24 marzo 2012

DOPIE

basta con la tirania dele dopie! le parole senza dopie sono rilasanti, si capiscono e sono più legere.
ariverà un giorno in cui abandoneremo questo obligo oprimente e saremo alegri e sdopiati.
Che spaso la vita senza dopie.

mercoledì 21 marzo 2012

SILENZIO

Oggi, per godermi la convalescenza, guardavo su Rai sport le qualifiche di ginnastica ritmica per le Olimpiadi. Senza l'audio però. Perchè mi piacciono di più. Di solito anzi quando sono malata, il brusio della televisione tiene lontana la malinconia del morbo ma la purezza dei salti dei ginnasti e delle ginnaste si gode meglio nel silenzio. C'è qualcosa di addirittura mistico nell'immaginare i suoni di queste acrobazie, il respiro, gli sbuffi, le ginocchia che scricchiolano al ritorno dalle giravolte, lo struscio epidermico lineolitico. Il corpo elastico che tende oltre ogni spasimo i propri limiti superando il dolore, proprio là dove il dolore è muto.
Perciò in silenzio.

Silenzio deriva dal latino SILENTIUM da SILERE, tacere che alcuni fa derivare proprio dall'onomatopeico ssssssss che tutti assilenzia, ma che in realtà ha relazione con la radice indo-europea SI- legare che spicca nel sanscrito sinomi, lego, nello slavo, silo, laccio.

Il silenzio è un legame.

mercoledì 14 marzo 2012

TANGO

infinite etimologie per tango:

dal francese tangage, che significa beccheggio, movimento oscillatorio.

dal verbo tangere, toccare.

è una città del Giappone: le comunità nipponiche trasferitesi a Cuba nel XIX secolo avrebbero esportato il termine.

è un termine spagnolo che significa ossicino. (?)

deriva da fandango, antica danza andalusa.

tanguillo, flamenco spagnolo.

deriva da tambo, tamburo africano.

stasera ho ballato il tango. Visto che chiunque ha dato un etimo a tango ci aggiungo il mio: DROGA.

lunedì 12 marzo 2012

PRESTIGIO

si produce con destrezza di mano, quindi con illusione e fallacia di mezzi. deriva forse da PRAESTRINGERE, stringere, figurato in abbagliare. Oppure possiamo scomporlo nel latino PRAESTO, nel senso di pronto e IGERE, AGERE, fare. E' un giuoco di destrezza. Eppure anche in sere come queste il desiderio di prestigio mi gioca il suo solito scherzo. Ma tutto questo inganno nasconde una promessa di parola. Prestare, che vive dentro prestigio, PRAESTARE, stare di fronte, stare innanzi. E' ciò che è, prestigio è quell'illusione che la vita ti dà in prestito e che ti sta di fronte.


sabato 10 marzo 2012

EDITORE

I giorni mi attraversano veloci. Sto lavorando da un editore. Siccome ho anche un bizzarro rapporto con il cibo mi sono spesso chiesta se la mia permanenza in ambito editoriale non fosse una malcelata incomprensione lessicale.

Stuzzicata dal termine "edibile", sono andata a vedere se ci fossero connessioni tra editoria e mangiare. Editore, da edito, da EDITUS: termine latino participio passata di E-DERE metter fuori, composto di E fuori, e DERE per DARE, dare esporre. Quindi portare alla luce.

E' buffo che edibile, cioè commestibile, derivi proprio da EDERE latino di mangiare, adottato in italiano come termine tecnico.

Sono due diversi EDERE?

Eppure questo si fa in casa editrice, si fagocita pensiero e si digeriscono libri.
Pascoli di redattori che ruminano con psicomandibole intere praterie di frasi sconnesse, scritte in italiano talvolta sciatto che ha bisogno di stomaci forti.

mercoledì 7 marzo 2012

NEUTRO

Ieri una mia amica fisico mi diceva che noi siamo bombardati da neutrini tutto il giorno e non ce ne accorgiamo. Loro in pratica hanno uno scintillatore a 1500 metri sotto terra dove appena arriva un neutrino se ne accorgono perchè il neutrino smuove un fotone di luce e il neutrino è l'unico che riesce ad arrivare fino a 1500 metri sotto terra.

Stamattina passeggiavo sotto il sole pallido e immaginavo milioni di neutrini attraversarmi indifferenti.
E pensavo che neutro è una di quelle parole che dicono proprio quello che vogliono dire, è una parola così neutra.

Neutro deriva da NEUTRUM che è l'accusativo di NEUTER: NE, che vuol dire non e UTER che sta per CUTER a sua volta QUOTERUS = in greco ionico koteros che si confronta con il sanscrito kataras, che vuol dire chi dei due? e poi trova riscontro anche nel gotico hvatar (ricorda niente a nessuno avatar?), nell'alto tedesco hwedar, a loro volta tutti in comune con la radice sanscrita: KAS, chi?

Che è poi la stessa domanda che fanno i fisici ai neutrini: chi siete voi?

lunedì 5 marzo 2012

BRUTTO

Insomma, domenica ero in metrò. Sale a una fermata, appena prima di Garibaldi una zingara molto brutta. I denti storti, distanti, gli occhiali molto spessi, i capelli unti e ripartiti in due metà uguali sul viso a evidenziare la totale asimmetria del viso smunto.
Poi da una cassa che portava nello zainetto si è diffusa nel nostro treno ed era la tipica base da metropolitana che storpia senza pietà i pezzi più belli della musica contemporanea. Stavolta era un pezzo di Bocelli che non amo particolarmente e che comunque rientrava con armonia nel programma di distruzione della musica italiana.

Una voce d'angelo, una meraviglia, un trasporto, una leggerezza, chiudevo gli occhi ed era bellissima.
ma davvero bella.
Persino quella canzone mediocre e inutile, con i suoi suoni diventava uno struggente e malinconico canto balcanico.
Però restava brutta.
Brutto, raddoppiata la t, deriva da BRUTUS, inerte, insensato, connesso al greco BARUS, grave pesante. Ancora indietro nel sanscrito GARU, grave.
Altri invece ricollega brutto all'alto tedesco BRUTTAN, spaventare.

Spiacevole a vedersi e udirsi, dice l'etimologico.
Ma quanto era bella quella zingara brutta.
Ho anche pianto.

sabato 3 marzo 2012

CONVULSO

sbaglio il suo nome, è uno scrittore importante, gli scrivo mi scusi, sono giorni convulsi. Mentre lo scrivo penso, vedrai, mi perdona, come si può non perdonare qualcuno che usa la parola convulso.

poi un mio amico mi scrive, scusa, sono stati giorni convulsi. E gli rispondo che bello, anche tu usi la parola convulso - e già consolido nel mio cuore un'amicizia suggellata nella convulsione. Un club segreto convulso.
participio passato di convellere - stirare violentemente. Cum- con e vellere - strappare con la forza.

il dizionario etimologico però carica il significato figurato del termine che definisce uno stile, un pensiero o un immagine che ha dello strano, del disordinato, studiato per rappresentare passioni violente sebbene non veramente sentite.

Ci vedrete a noi convulsi, attraversare le nostre giornate con fare melodrammatico, strappati pezzo a pezzo, e di nascosto ridere di voi che patite per le nostre convulsioni.

Stasera ho visto l'angelo sterminatore, se rinasco voglio essere Bunuel.

giovedì 1 marzo 2012

costanza

Ancora torno su queste parole. Costante che è il participio presente di Con-stare, stare insieme e indi stare fermo, invariabile. Costante è colui che sta saldo nel suo sentimento, volere, affetto, fede e simili.

Quanto mi costa la costanza.

martedì 28 febbraio 2012

TRST


Le domando quale sia il mezzo più opportuno per arrivare da Maribor a Trieste.
Lei, slovena, scrive Maribor come provenienza e Trst come destinazione. Io la vedo digitare sullo schermo ma non dico niente. E' slovena, mi dico, evidentemente diffida degli italiani e delle vocali. Preme invio e il motore di ricerca non trova nessuna destinazione. Azzardo un timido, forse potrebbe mettere Trieste invece di Trst. Non capirò mai quale soddisfazione possa dare il colonialismo, il vincere un luogo e appropriarsi del nome. Provo infatti imbarazzo quando poi il motore di ricerca trova Trieste, in tutta la sua melodica voluttà vocalica. Ma lei non mostra stizza, solo resta girata verso il monitor, non mi guarda, forse se si girasse non riuscirebbe a nascondere una lieve ostilità, simile a quella della ex-moglie che pretende di aver superato il trauma.
Vorrei dirle che Trst per me va bene, che se vuole può chiamarmi Srh, che può trasformare tutto il mondo in un fottuto codice fiscale. Ma ormai il danno è fatto, noi ci siamo tenuti la città e l'abbiamo abbellita con le nostre donne fresche di parrucchiere e le nostre vocali sinuose.
Due ipotesi per il nome di Trieste: Ter-gestum, che significa costruita tre volte. Oppure si ricollega alla radice indoeuropea Terg che significa mercato + Este che significa città.

domenica 19 febbraio 2012

MERLO

Oggi pomeriggio - in quella che si potrebbe definire senza tema di smentita una tranquilla domenica - suono al citofono di un civico normale di una tranquilla strada del mio quartiere, un quartiere in cui abitano perlopiù professionisti, qualcuno mediocre, qualcuno imbevuto della propria gloria domestica - un quartiere in cui i pianerottoli erano già odorosi di stantìo prima di essere attraversati da vite regolari, abitazione al sesto piano e studio al piano terra, badanti corpulente, giovani figli in visita regolamentata.

Oggi la suddetta, rilevatrice del censimento del comune di Milano, suonava al citofono per sincerarsi che ogni cittadino fosse messo in grado di compilare il proprio questionario, una normale funzione pubblica.
Succede che per un malcapitato gioco degli eventi suono al campanello del signor Merlo. Il signor Merlo prima mi dice di aver riconsegnato il questionario e che non è possibile farlo la domenica, io spiego che non solo sono autorizzata ma che è consigliato andare la domenica perchè è più facile trovare le famiglie in casa. (Non menziono neanche il fatto che veniamo pagati a cottimo e che per ogni questionario, che potrebbe essere piacevole come bere il tè con un'anziana signora o tragico come incontrare appunto persone come lui, prendiamo meno di 4 euro) (non menziono neanche il fatto che se non risulta compilato lui rischia di dover pagare una multa di duemila euro).

Mi dirigo verso il palazzo di fianco e vedo avvicinarsi un uomo anziano, segaligno, bianco di capelli. Il signor Merlo. Il signor Merlo volato dal suo appartamento giù per le scale, fino alla scala di fianco dove mi trovo io. Mi guarda e mi dice, mi faccia vedere il suo cartellino. Io gli mostro il mio tesserino. Il signore Merlo chiede di vedere anche documenti in cui ci sono dati sensibili che non sono autorizzata a mostrare per la privacy (nomi, cognomi, etcetc). Allora mi obbliga a seguirlo e chiede al citofono alla moglie di chiamare la polizia perchè vuole fare un controllo dicendo che "c'è una che si spaccia per una del censimento". Io a quel punto reagisco come so reagire io: scoppio a piangere.

Un pianto che porta dentro tutta la sfiducia, tutta l'umiliazione del mondo, tutta la rabbia mescolata alla voglia di farlo sentire in colpa, di farlo sentire una merda paranoica, io, vittima totale su tutti i fronti. (ho un certo amore per il vittimismo, che si mescola alle mie fisse giudaiche).

Nella nebbia delle lacrime credo di avergli anche detto che "se lei da grande voleva fare quello che fa piangere le persone ci è riuscito".

Poi chiamo la mamma. Poi cominciano a fermarsi anche altri condomini con il signor Merlo che mi addita dicendo, "questi qua che si spacciano per operatori del censimento", cosa che continua a ripetere persino quando arrivano gli sbirri che mi guardano allibiti e provano a spiegare al signor Merlo che sono regolarmente autorizzata a fare quello che sto facendo e lo dicono con una calma che mia madre ormai ha perso visto che sta contattando avvocati lì nei paraggi e vedendo se ci sono gli estremi per intentare una causa per shock post-traumatico- sottolineando ai poliziotti il mio incredibile talento e quanto io sia una ragazza fenomenale e splendida. (roba da sprofondare).

Nel frattempo anche il signor Merlo tira fuori la sua passata storia di dolore. Sua mamma era stata aggredita da bruti figuri e in seguito a una brutta botta - sei mesi dopo - era deceduta. Lui stesso, il signor Merlo, era stato aggredito con lo stesso stratagemma del finto operatore. In qualche modo tutto questo dolore doveva trovare purificazione sulla mia persona, rilevatrice di razza. Mi sentivo Esmeralda nelle mani di Frollo.

Tutti mi difendono, ma il signor Merlo comincia a dire che è uno scandalo che i rilevatori vengano mandati a citofonare la domenica pomeriggio. Lo sbirro gli dice, beh, non è mica venuta giovedì alle dieci passate.

Insomma ho passato TUTTA la domenica a piangere.
Merlo - MERULUS in latino - si dice abbia origine da MERUS, solo. In effetti il signor Merlo questa domenica avrebbe dovuto essere lasciato da solo.
Il Merlotto è anche detto di individuo sempliciotto. Cosa che forse si è a lungo rimproverato di essere il signor Merlo dopo i brutti trascorsi.

Comunque nel censimento del mio cuore il signor Merlo non avrà mai un posto.

domenica 12 febbraio 2012

STREBEN

Giorni di diavolo, Faust, scritture. Oggi continuava a succedermi questa cosa: arrivata alla fermata del tram o autobus, mi dico che tanto vale camminare e cammino invece di aspettare.
Giunta a destinazione, dietro di me spunta l'autobus che apre le sue porte ai passeggeri e io li guardo con una certa superiorità, con l'arroganza della tartaruga che è arrivata prima, contro ogni aspettativa. (L'arroganza della tartaruga potrebbe essere il sequel dell'eleganza del riccio).

Vado a trovare la mia professoressa di inglese del liceo, una donna di profonda cultura e profondo amore per la cultura (non sempre le due cose coesistono) e ci troviamo, senza neanche accorgercene, - con il tavolo coperto di libri e vocabolari- invischiate fino al collo in una discussione fitta - mi sembrava proprio una discussione da adulti -- sul linguaggio in Faust e poi su quello Streben, che al liceo avevo vissuto come un' imposizione didattica e che invece vivevo - come neo-romantica - da tempo, inconsapevole.

Streben, tradotto come anelare, con anà come di nuovo e HALARE, come spirare, con il significato quindi di respirare con forza, frequenza. Da lì poi abbiamo il senso di bramare, tendere.

Tra i più cauti anglosassoni non c'è tutta questa foga, quest'ansia. Streben viene tradotto spesso con endeavour, come sforzo, tentativo. Dove noi ci angosciamo, loro lavorano.

Io ho deciso che il mio Streben è camminare, con Faust, andare verso un obiettivo che non esiste, forse. E la conferma è arrivata a sera leggendo un nuovo, ennesimo, manuale su creatività inespressa, dove ho trovato la seguente definizione di umano: la parola tibetana che indica umano è a-Gro-ba, andante, "colui che intraprende migrazioni" Poi ho guardato giù dal ponte sul Naviglio Grande e c'erano, proprio sopra la superficie ghiacciata del canale, orme tracciate sulla neve, di qualche papà romantico che aveva deciso di camminare sulle acque, temporaneamente solide del naviglio. (orma piccola, orma grande)

Camminare, umano, Streben.


giovedì 2 febbraio 2012

NONOSTANTE

Stamattina prima di prendere l'autobus ho preso dalla poltrona rossa un romanzo di Edmondo De Amicis minore - pubblicato da un piccolo editore mantovano - che s'intitola Amore e ginnastica. La gioia candida della neve, il silenzio bianco del mattino mi stuzzicavano certi pruriti da educanda immuni persino all'immonda e coprolalica calca delle nove del mattino su un autobus milanese. E sì, la neve era bella però rendeva tutto anche più drammatico. Insomma leggo la storia d'amore tra il segretario Celzani detto il seminarista, per via del suo aspetto e atteggiamento da prete e la maestra Pedani, larga di spalle, stretta di cintura - il tipo che il segretario Celzani aveva accarezzato nei suoi sogni ardenti di seminarista, la figura che aveva vagheggiato confusamente per tutto il corso della sua calda gioventù castigata.

Non vi posso dire quanto mi fosse grato il cuore, amareggiato da troppe ciniche trasmissioni televisive a ripercorrere i turbamenti quieti e tremendi di anime probe.

Ma è quando ho visto "nonostante" che mi sono commossa.

Era scritto infatti così: non ostante.



Mi è apparso in tutta la sua gloria nascosta. Come avevo potuto dimenticare nella cantilena del parlato, nell'ovvietà di certe considerazione che nonostante altri non è che non ostante, cioè "che non osta" che non impedisce, che non contrasta.

E' talmente mansueto nonostante da non ostacolare persino la nostra superficialità nell'usarlo a sproposito.

Oggi un tipo mi ha dato della cicciona perchè con la mia bici in contromano con il rosso gli impedivo di procedere con il suo motorino nel senso opposto. Se fossi stata non ostante invece che ostante forse si sarebbe trattenuto dal saturare tutta la sua rabbia e frustrazione emettendo un verdetto sibilante e crudele sulle mie fattezze che il De Amicis non esiterebbe a definire simili a quelle di una statua.



martedì 31 gennaio 2012

SPAZIO



Anche oggi il jazz mi ha salvato la vita.


In pratica sono uscita dal lavoro indecisa se togliermi la vita o suicidarmi. Ho fatto un po' di cazzate tipiche dei primi giorni. (E anche tipiche della mia tendenza a fare cazzate) Ma odio sbagliare, sento degli tsunami interni che mi tolgono ogni dignità. Non sono capace, come alcuni, a trasformare un proprio errore in un'occasione di riso bonario. Io soffro e basta. Divento anche rossa.

Poi comincia a nevicare e io soffro ancora di più del fatto che è così bella la neve e sono così poco attenta alla neve perchè il mio cervello è un disco rotto che continua a girare la stesse conversazioni in cui avrei potuto dire qualcos'altro e le stesse sviste che avrei potuto evitare fossi meno impanicata.


Insomma arrivo alla lezione di piano jazz. E il mio maestro, che secondo me dovrebbe fare il sindaco del mondo, a un certo punto ci dice che una struttura non va intesa come una sequenza di accordi in cui devo "completare" le caselle mettendoci gli accordi. Nel jazz è questione di trovare il proprio spazio. Non si può pensare in termini di "se non metto questo accordo si sentirà che non ho messo questo accordo" . Lo spartito classico funziona così nella maggior parte dei casi, se non metti una nota con ottime probabilità se ne sente la mancanza. Nel jazz il punto non è fare un accordo dopo l'altro, ma trovare, tra gli accordi, il proprio spazio. Non si sente la mancanza di un accordo, si sente però la mancanza di un'esplorazione.


E io mi sono tranquillizzata. Non vi so dire perchè. Ho sentito un alleggerimento e Milano era di nuovo bellissima sotto la neve.


SPAZIO dal latino SPATIUM, da confrontarsi con il greco dorico spadion e il greco attico stadion. Dalla radice spa- stendere, estendere. Anche il tedesco antico si comporta in modo simile con spannan, distendere.

Si conviene nell'attribuire anche pandere - latino - (che è allargare, spalancare) alla radice sanscrita SPA- crescere, estendere, gonfiare.

Il proprio spazio non è quindi qualcosa che va conservato, ma espanso. E il fatto che l'universo sia in espansione non fa che confermare il significato della parola spazio. Lo spazio non è contenuto ma si sviluppa per natura.


Infatti quando i rigidi dicono - questo è il mio spazio, questo è il tuo spazio - in realtà non usano correttamente il termine perchè quella cosa che loro chiamano spazio sta già allargandosi a loro insaputa, raggiungendo l'altro.


Non sto dicendo che sbagliare sia il modo migliore per trovare il proprio spazio ma sbagliare va in una direzione più espansiva che trattenersi dall'agire.

sabato 28 gennaio 2012

TOSA



L'altro giorno io e la mia amica Marta abbiamo camminato per più di un'ora. Da corvetto fino a zona Solari dove abitiamo entrambe. Marta è per me una buona amica. Come quelle che si trovano nei libri che parlano di amicizia. E Marta sa moltissime cose su Milano è una milanese doc. Mentre tornavamo mi diceva: ma lo sai cos'era Sant'Agostino fino a poco tempo fa? E io: no. E lei: "Il più grande macello di Milano!". E così via, lei conosce le antiche vie d'acqua che oggi per noi sono solo strade d'asfalto. Lei, infine, conosce la mitica Porta Tosa, che non ho ancora capito dove si trovi. In pratica Porta Tosa si chiama così perchè una volta vi si poteva ammirare una fantomatica stele longobarda raffigurante una giovane fanciulla con la gonna sollevata tutta intenta alla tonsura del delta di venere. Ancora il dubbio rimane: che Porta Tosa si riferisca al fatto che vi sia raffigurata una fanciulla o piuttosto al pubico gesto tosa-tore della giovane impudica? Toso deriva comunque dal latino TONSUS che per i ragazzi ha senso, indica l'imberbe, lo sbarbatello. Ma per la tosa si riferisce forse alla barbara pratica dello sbarbamento di quella barba che non copre il viso?






P.s.: In realtà per altri etimologi, toso proverrebbe piuttosto da in-tonsus per apocope del prefisso, secondo l'usanza diffusa nel medioevo tra i longobardi di lasciare ai ragazzetti i capelli lunghi. Savonarola impose il taglio poi della chioma perchè indurrebbe alla lascivia. Al contrario una lunga chioma pubica è un deterrente a qualsiasi momento di abbandono erotico. E' quella la differenza tra chi è una tosa e chi non è una tosa.



lunedì 23 gennaio 2012

DISPONIBILE



Ah che palle. Oggi mi sono sentita chiedere se sono disponibile per un lavoro. Mi è venuto da piangere. E ho anche risposto male alla persona che pure non ha nessuna colpa. E' l'espressione che non sopporto. Disponibile, da disporre, cioè sincopato dal latino DISPONERE, composto della fottuta particella DIS-che indica separazione, distribuzione, e PONERE, porre.


Porre a suo proprio luogo, con un certo ordine, secondo un dato disegno o un fine voluto. Quindi DISPONIBILE che si può disporre, da poterne disporre.

Sono sempre stata considerata una disponibile e questa è una cosa che mi dà profondamente sui nervi. Prima no. Prima l'associazione istantanea era un viso sorridente, una pancia aperta, un gesto di apertura delle braccia. Invece disponibile non è un gesto, è un'attesa flessibile. E' aspettare di essere richiamati per un lavoro e quindi doversi tenere DISPONIBILI nel frattempo.

Prima di essere presi, caricati, spostati, di nuovo fatti sedere, di nuovo interrogati, di nuovo spremuti.
Più di ogni lusso, ogni casa, ogni viaggio, ogni vestito o trucco, vorrei il lusso di non dover essere disponibile.


Disponibile mi fa sentire come una puttana.

Come certe persone sono sensibili al nichel o al rame, io sono sensibile alle parole. Scatto come un toro che vede rosso o Sgarbi in televisione con il ciuffo. E domani dovrò anche chiedere scusa per la risposta aggressiva.



domenica 22 gennaio 2012

PAROLE Sì, PAROLE NO

Da uno dei miei libri del cuore, Le Ore di Dolores Prato (Adelphi), consigliato da una donna che odio con tutto l'animo e che nondimeno mi ha introdotto, anni fa, a un'autrice straordinaria. Spero che l'amore per quest'autrice superi in longevità l'odio nei confronti di questa donna che mi scippò l'amore. (E che non fu buona a null'altro).



La Prato distingue le parole che usava in casa, a Treia nella Marche, e quelle che usò poi dopo in convento.




In paese la gente che lavorava era stracca, gli altri erano stanchi. In collegio si era tutte nobilmente stanche quando era permesso dirlo.



A Treia dicevano sciapa quando la minestra mancava di sale, sciapo quando un giovanotto era stupido. In collegio si diceva insipida per la minestra. Dei giovanotti non si parlava.



Invece di rispondere solo sì, è meglio dire "sì, cara!".



Rispondere "subito" invece di sì quando c'era richiesto qualcosa.



In paese la diarrea era chiamata sciolta. "Ho la sciolta" Ma si diceva anche, più volgarmente , la cacarella...Attenzione con un solo c. In convento potete figurarvi se aveva diritto di asilo cacarella e sciolta ma neppure diarrea. Però siccome il fatto s'infischiava della clausura e appariva lì dentro come là fuori; c'era un discorso lungo come un'antifona per dire una cosa sola.



Avanti a mamma ci si faceva mettere l'articolo, avanti a zio, a quasi tutti i parenti, era più nobile più raffinato. E così: mamma, zio, zia diventavano la mamma, lo zio, la zia.



Mischiare si diceva in paese. Mescolare in convento. Mischiare, mischiato, azione veloce fatta a mano, mescolare azione sublimata da una palettina.



Le cerase, diventarono le ciliegie,

le persiche, le pesche



Dopodomani si diceva a casa, credo anche in tutto il paese, ma in collegio dicevano doman l'altro, e io seppellii i dopodomani.




Segue...

mercoledì 18 gennaio 2012

VIAGGIO

Viaggio, viaje in Spagna, voyage in Francia, deriva dal latino VIATICUS che vale come riguardante la via, e in forma neutra, VIATICUM, è la provvista per viaggiare, che ne' tempi bassi era la cosa più importante per chi si metteva in cammino. Poi con l'avvento dell'Autogrill il termine ha assunto un diverso senso, l'odierno Cammino che si compie per arrivare da un posto a un altro.


Via deriva dalla radice VAH, andare, muoversi.


Il viado, cioè il travestito di origine brasiliana o più genericamente sudamericana, deriva dal portoghese viado, forma abbreviata di desviado, cioè persona deviata. Per nasconderne il significato così crudo si fa erroneamente risalire a veado che in portoghese vuol dire cerbiatto.






martedì 17 gennaio 2012

IMPEGNO

Oggi a lezione di pianoforte volevo morire, ho fatto schifo, era un pezzo nuovo a cui però dovevamo applicare degli schemi (e si parla di jazz baby, NULLA è più importante degli schemi) su cui avremmo dovuto esercitarci. Io ho fatto schifo. E ho anche fatto presente al mio insegnante che non ho un pianoforte perchè costa troppo e la vita fa schifo e povera me, ma in ogni caso il punto non è quello. E' che devo rafforzare il mio impegno. Il karma su cui devo lavorare in questa vita è proprio l'impegno. Non a caso sono circondata di amiche che si chiamano Costanza. Certo meglio Costanza che Maria Tenacia. Comunque la parola chiave oggi è IMPEGNO.

Nel significato originario impegnare significa Dare o Mettere in pegno, ossia dare a qualcuno qualcosa in cambio di danaro. Nel caso del riflessivo IMPEGNARSI, significa obbligarsi a fare, dare in pegno la parola, la fede. Mettere in pegno se stessi. La differenza con Obbligarsi, sebbene la definizione sia ancora approssimativa, sta nel fatto che uno si obbliga a fare qualcosa che è nella convenzioni, che sta a lui compiere. Impegnarsi invece si promette di fare ogni sforzo per ottenere cosa che non è in nostro potere.

Che è buffo che si chieda così tanto impegno ai giovani d'oggi, di dare in pegno il proprio presente per un futuro che è già stato impegnato da quelli prima. Anche in questo caso è solo questione di impegno.

domenica 15 gennaio 2012

SINCERA

Sono quattro giorni che non scrivo etimi e nonostante il pungolo del senso di colpa nei confronti di questa mia autoimposta disciplina mi tormentasse, non ve n'era, non avevo voglia, a essere sincera.



Da SINCERUS che nella tradizione si dice composto di SIN-E senza e CERA cera, come miele purgato. Il miele senza la cera, un miele puro, sincero. Come Glen Grant.


Ma in un manuale che si chiama "Tattiche d'amore 2" (queste le improbabili vie della mia altrettanto improbabile vita sentimentale) dice che si diceva delle statue che non venivano "ritoccate" con la cera per eliminarne le imperfezioni. Quindi senza cera erano le statue nella loro nudità.

Un'altra ipotesi invece, più scientifica ma meno consueta, propone la scomposizione di sincero in SIN=SIM non come sim card ma come rappresentante di SIMUL (=sanscrito samà) insieme e CERUS equivalente dell'antico tedesco kiri, puro. Un altro propone Sin come contratto da SIMPLEX, semplice e -CERUS formato sulla radice kar, creare. Semplice per natura.



Insomma dopo questo florilegio di ipotesi improbabili quasi quanto la mia vita sentimentale ci si imbatte nell'ultima ipotesi che combina SIN-E, senza, con la radice skar, (che è anche lo zio di Simba) con il significato di inquinare. (da skar, anche scear-e e poi sterco).

Quindi senza impurità.


Le oscure origini della sincerità.

(La foto ritrae la statua di cera di Jenna Jameson)




mercoledì 11 gennaio 2012

STARE INSIEME



Noi stiamo insieme. Perchè si dice stiamo insieme? Stare insieme è un'indicazione che mi ricorda il quadro "pastorale americana" o certi ritratti di coppie fiamminghe. Contenute, soffocanti, noiose.


Piuttosto che dire stiamo insieme, potremmo dire "andiamo insieme", "ceniamo insieme", "ci parliamo insieme" (che è sgrammaticato ma è reciproco), "dormiamo insieme", "ci salutiamo insieme", "litighiamo assieme", "facciamo l'amore assieme". Come tutti quegli insieme dinamici che compongono quello che poi, quando ci lasceremo, diventerà "il racconto di noi due insieme".


Poi però stamattina ho letto una recensione di Odifreddi su un libro che mi pare s'intitoli "Dall'Eternità a qui" che ripropone e sviluppa il concetto di relatività del tempo.


Zenone diceva che una freccia scagliata in aria non si muove. Possiamo immaginare istante per istante la freccia ferma in aria ma questo non costituisce un movimento. Ma nel momento in cui determiniamo una posizione della freccia non possiamo affermarne la presenza nella posizione successiva. Quindi è impossibile che la freccia si muova.


Applicandola all'amore, si potrebbe dire quindi che la locuzione "stiamo insieme" è la più corretta dopotutto. Noi, ora, in questo momento, e solo in questo istante, "stiamo insieme". Ma non è possibile, come la freccia non vola, avere una relazione in un lasso di tempo. Solo momenti circoscritti d'amore.

martedì 10 gennaio 2012

CATTOLICO

Dal greco KATHOLIKOS, universale, composto di KATA, particella intensiva e OLOS, tutto intiero.



Dubbio atroce: che ci sia un cattolico annidato in ognuno di noi?


(Che poi vabè, adesso mi sono venute vagonate di battute che collegano "formigoni", papa raztinger, il suo camerlengo e i "cattolici dentro di noi", però non mi abbasso a certe volgarità. Io certe cose non le dico, insomma.)







lunedì 9 gennaio 2012

INCINTA

Siccome fioccano le telefonate di amiche che cominciano con "ti devo dire una cosa..." mentre io non ho ancora fatto la telefonata del "siamo al secondo appuntamento!!!"dedico la giornata di oggi alla parola INCINTA.


Iniziamo subito con una smentita, per me, clamorosa: io, lo ammetto, ho nutrito forti antipatie nei confronti di suddetto etimo credendolo, in malignità, appartenesse a quella categoria di parole che svilisce il mistico dono procreativo della donna. Una categoria in cui rientrano parole come gravida e pregna (che fa rima con cagna). Incinta, come qualcuna che abbiano legato a un palo con una cinta intorno al ventre oppure, come credeva Isidoro di Siviglia, che derivasse dall'uso delle donne in attesa di girare non cinte. Incincta, secondo lui, est qua sine cinctura ob uterum. E comunque, anche se non è quello il percorso etimologico corretto, io, Isidoro lo candiderei a un piccolo "Forcipe d'argento" per aver avuto quest'intuizione preziosa. Provaci tu infatti a mettere la cintura al nono mese.



Deriva invece da INCIENS, latino usato da Plinio, dal greco EN-KYOS, composto questo da EN, particella pleonastica e KYO, (mi raccomando Y a casa mia si pronuncia u), porto nell'utero. (kyos essendo feto). A sua volta ritroviamo la radice ku, in sanscrito, cvayami, divento tumido, cresco. E nel participio passato è cunas, gonfiato.


(Buon viaggio piccolo amico papalagio....)


venerdì 6 gennaio 2012

LA LINGUA DEI VESTITI

Anche i vestiti sono etimi. Sono come parole chiave che raccontano il nostro modo di stare al mondo. Solo che spesso non le usiamo in maniera consapevole, proprio come succede con alcune parole.

Per esempio: (riporto la traduzione della vignetta)



Per tutti coloro che amano portare i loro pantaloni sotto le natiche


Questa moda è nata nelle prigioni americane. I prigionieri che desideravano intraprendere una relazione sessuale con altri prigionieri avevano bisogno di inventare un segnale che non fosse riconoscibile dalle guardie.


Mostrando parzialmente le loro natiche, segnalavano la loro disponibilità ad essere penetrati dai loro camerata.


Perciò tu giovane rapper di Quarto Oggiaro o tu giovane ragazzo bene che sotto il jean mostri la mutanda Calvin Klein, ricordati che stai parlando una lingua densa di conseguenze.

martedì 3 gennaio 2012

ACCHITTARE

Continua l'ispirazione romana. tra le nebbie buzzatiane di milano.




Ho cercato Acchittare, che a Roma viene usato in contesti giovanili per indicare qualcuno che abbia usato una cura, forse eccessiva nella composizione estetica del proprio fisico, della propria auto, del proprio appartamento o qualsiasi altra cosa che possa enfatizzare uno status sociale. Puoi dire " Sta tutto acchittato" o anche, nella versione preferita di Cecilia B. "tutto acchitto", per il principio romana brevitas.



Comunque l'etimologia di ACCHITTARE non la trovo. Ho trovato Acchitare -potrebbe essere lui, visto la romana tendenza al raddoppio fonetico per il principio di romana magnitudo- ma il significato di Acchitare e con essa di acchito deriva da AD- e QUITARE (vedi il francese quitter, che in italiano ha infatti ispirato la canzone non mi acchittare più) e significa sia lasciar quieto sia, in biliardo, mandare la pallina in una zona del tavolo intenzionalmente perchè l'avversario la batta. E' un significato poco congruo con quello romano.


Non ho trovato molto in rete, finchè non mi sono imbattuta in un'eloquente definizione che ha sciolto ogni dubbio e quietato le mie esigenze secondo il principio di romana praeclaritas:

Secondo l'eminente Youdictionary infatti Acchittare ha questo significato:
Riferito alla cocaina: "Acchittare una botta di cocco".

lunedì 2 gennaio 2012

FOMENTO



Con questo freddo che c'è qua a Milano quasi rimpiango quei miti inverni romani, dove il freddo non trova mai un culmine. A Roma anche il freddo se la prende tranquilla.



Lì a Roma ho conosciuto la parola Fomento.



La prima volta che ho sentito la parola fomento mi ha subito entusiasmato. Lo usavano le mie amiche per specificare qualsiasi condizione di eccitamento progressivo. Cecilia sapeva usare fomento con un tono così fomentoso. C'erano pure i Colle der Fomento, ma a essere sincera non li ho mai ascoltati.






Dal Latino Fo-mento, da fovimentum da Fo-veo, tengo caldo, riscaldo. E poi per estensione diventa Eccitamento, stimolo. Non è la stessa cosa di Fomenta, che è invece un panno bagnato nell'acqua calda per riscaldare il corpo diaccio.






Il fomento emotivo è un buon modo per tenersi caldi, forse più della fomenta.

domenica 1 gennaio 2012

ABRA CADABRA

Abra Cadabra deriva dall'aramaico avrah kadabra e vuol dire "io creo come parlo".


Perciò vi bene-dico ora con il mio abracadabra di primo dell'anno.


Sia ogni parola una creatura, una creazione e un creatore.

Sia ogni vostro desiderio un ordine,

Sia ogni oroscopo di Breszny azzeccato,

Siano gli sceneggiatori ispirati e gli scrittori fecondi,

Sia ogni video di Lady Gaga apprezzato dalla comunità gay,

Sia ogni plastica di Madonna riuscita e apprezzata dalla comunità gay.

Sia serena la comunità gay.


Sia ogni vostro status su facebook piaciuto mille volte,

Sia ogni recessione ignorata e superata senza che nessuno di noi se ne accorga.

Sia il sole la vostra fonte di illuminazione primaria e non lo schermo di un computer. (Questo ovviamente non vale per chi vive a Milano)

Sia il lavoro un luogo di continua ispirazione e di poca traspirazione.

Sia la vostra pigrizia foriera di continuo piacere.



Che gli impotenti possano,

che le frigide sbrinino,

che le anorgasmiche orgasmino,

e i precoci abbiano pazienza.


Che non vi capiti mai di scoreggiare in luogo pubblico,
nè che vi puzzino mai i piedi,

che i vostri peli mai incarniscano,

che le vostre cerette mai vi addolorino.


Che i vostri autobus siano sempre in orario,

che ogni vostra scusa per non andare al lavoro sia creduta,

che il vostro conto corrente sia pieno come il vostro cuore,

che i vostri ombrelli mai si rovescino e i vostri piedi siano sempre ben caldi.


che la vostra solitudine sia voluta e non obbligata,

che siate liberi, mai abbandonati,

che gli umili inorgogliscano,

che i santi pecchino,

che i repressi esprimano,

che le vostre bugie siano ben congegnate e mai scoperte,

che le vostre scuse non siano mai necessarie.

che le vostre decisioni siano sempre giuste, soprattutto quelle sbagliate,

che smettiate di analizzare i vostri sogni e cominciate a realizzarli.


Vi condanno ora a uno stato di felicità permanente!


ABRACADABRA!