Da uno dei miei libri del cuore, Le Ore di Dolores Prato (Adelphi), consigliato da una donna che odio con tutto l'animo e che nondimeno mi ha introdotto, anni fa, a un'autrice straordinaria. Spero che l'amore per quest'autrice superi in longevità l'odio nei confronti di questa donna che mi scippò l'amore. (E che non fu buona a null'altro).
La Prato distingue le parole che usava in casa, a Treia nella Marche, e quelle che usò poi dopo in convento.
In paese la gente che lavorava era stracca, gli altri erano stanchi. In collegio si era tutte nobilmente stanche quando era permesso dirlo.
A Treia dicevano sciapa quando la minestra mancava di sale, sciapo quando un giovanotto era stupido. In collegio si diceva insipida per la minestra. Dei giovanotti non si parlava.
Invece di rispondere solo sì, è meglio dire "sì, cara!".
Rispondere "subito" invece di sì quando c'era richiesto qualcosa.
In paese la diarrea era chiamata sciolta. "Ho la sciolta" Ma si diceva anche, più volgarmente , la cacarella...Attenzione con un solo c. In convento potete figurarvi se aveva diritto di asilo cacarella e sciolta ma neppure diarrea. Però siccome il fatto s'infischiava della clausura e appariva lì dentro come là fuori; c'era un discorso lungo come un'antifona per dire una cosa sola.
Avanti a mamma ci si faceva mettere l'articolo, avanti a zio, a quasi tutti i parenti, era più nobile più raffinato. E così: mamma, zio, zia diventavano la mamma, lo zio, la zia.
Mischiare si diceva in paese. Mescolare in convento. Mischiare, mischiato, azione veloce fatta a mano, mescolare azione sublimata da una palettina.
Le cerase, diventarono le ciliegie,
le persiche, le pesche
Dopodomani si diceva a casa, credo anche in tutto il paese, ma in collegio dicevano doman l'altro, e io seppellii i dopodomani.
Segue...
Nessun commento:
Posta un commento