lunedì 17 aprile 2017

demordere

di te mi sono rimasti i cani e dylan dog. che comunque è cane di cognome. di te quindi mi sono rimasti i cani. tu adori i cani. quando vedi un cane lo saluti come se stessi salutando un amico che non vedi da tempo e poi ci resti vicino e salti e sei felice. sei felice quando vedi un cane. lo abbracci e lo fai sentire speciale. dedichi del tempo al cane. ora lo faccio anche io. ogni volta che vedo un cane mi fermo e lo celebro, lo tocco, sperando nella carezza di sentire te, lo abbraccio per abbracciare te. 
questo succede di giorno, quando  mi porto a spasso per fare i bisogni. 

la sera entro nel negozio di fumetti dei navigli, scendo al piano inferiore e uno a uno controllo tutti i dylan dog che sono in vendita. se trovo quello disegnato dal tuo disegnatore preferito - roi - lo compro. lo leggo e poi lo lascio vicino al letto, insieme agli altri, il mio cumulo di ossa rosicchiate, ogni vignetta spolpata, guardata, assaporata come mi hai insegnato a fare te.

sono nata da un gatto e un cane: dal mio cane ho preso una meravigliosa attitudine alla devozione, la capacità di rovistare, di fare festa per nulla, di scodinzolare senza pudore, la capacità di fare cuccia nel cuore di un umano, di guardarlo e implorare pietà.
dal mio gatto ho preso gli occhi maliziosi, il crudele diletto nel giocherellare con le unghie con il cuore di un umano, lo spudorato venire quando c'è cibo, quando è disponibile, questa cosa di mangiare per conto mio, di lasciare teste di lucertola come mite manifestazione d'affetto. di guardare l'umano e concedergli altezzosa udienza.
si può essere cani e gatti nello stesso corpo e nello stesso giorno, ci si può azzuffare nello stesso sangue, io so, perché sono figlia di un cane e di un gatto, ed è un azzardo genetico, che non sempre genera creature resistenti. 

Con te sono un cane.

i giorni del cane sono quelli in cui tengo i brandelli di te, del tuo cranio, del tuo labbro - perfetto al morso sia quello superiore sia quello inferiore - del tuo seno, del bordo dei tuoi jeans, scuri e stretti. sento vibrare il ringhio ad ogni tuo strattone, lo strattone che tiri tornando alla tua vita, mentre io stringo i denti. 

ma tu sai come si convince un cane a demordere: allenti la presa, sciogli la tensione che corre tra mandibola e corpo, mi guardi e mi dici, cos'hai da mordere? perché mi tieni qua, mi trascini ora che non ho palline da tirare, ossa da gettarti, coccole da farti, istruzioni da darti, intenzioni di addomesticamento? io cane ancora ringhio all'aria, schiocco nel vuoto le mascelle.

demordere: dal latino mord-ere, dalla radice mardmared, tritare, dove è mard-n-ati in sanscrito, affine a mrnati, di cui si parla quando si parla di morte, in ogni caso il senso è quello dello stritolamento. il prefisso DE- scioglie la tensione mandibolare, solo dirlo costringe ad aprire la bocca, la mascella che serra un brandello del tuo fantasma, mentre tu sei già dietro di me, sei già diventata la mia coda, ora sono cane che si morde la coda, ora so che mordo solo perché sento tirare, è solo un istinto automatico, è il mio cane che ha paura. ora chiedo aiuto al gatto, quello che conosce il mistero di amare solo se stesso.