giovedì 25 dicembre 2014

TRAMONTO

Pranziamo, è bello. Sa di buono. Regali, scarta, apri, ridi, rido, ride, esauste cartacce. Dopo pranzo io e la piccola cominciamo a cantare tuttialmare. C'è una luce che ci chiama fuori. Dai, andiamo. Noi cappotti umidi, noi con torpore ma anche un piccolo bisogno d'aria. La macchina di mia sorella: ogni volta che guidiamo insieme le due ripide salite e la strada sterrata che porta a casa sua, sulla collina, mi accorgo che lei è anche così. Prova emozioni sterrate, eppure resiste. Sballonzola, viene sbalzata ad ogni dosso, ma gli ammortizzatori per qualche quieta obbedienza accolgono l'urto. Sta quasi facendo buio. Ma andiamo comunque, come un gesto disperato, come una bella emergenza, una specie di segreto rituale che conosciamo solo noi, acchiappiamo l'ultimo lucore. In macchina rimaniamo in silenzio anche quando ci accorgiamo che il cielo sta facendo la ruota come un pavone davanti a noi: è fucsia e rosa e arancione e ci sono scìe chimiche - chimiche come te, bionda grigia - e ci sono violente piroette viola. Ci avviciniamo a Baratti, dove andiamo sempre e scendiamo dalla macchina. Ci basta poco, ci basta scendere dall'auto, accostarci al mare, sentire la sabbia sotto le scarpe, una cosa così soffice e così poco invernale. Stiamo di fronte all'acqua. Il promontorio è nero, il cielo dolce, l'oscurità delle onde del mare mi calma. Penso adesso a te, che ti sapresti divertire anche in questo momento, mentre io sono così solenne e emozionata nella mia giacchetta di pelle nera. Riesco solo a stare zitta e assorbire questo lucido mare laccato. Tu faresti una faccina buffa, una ruota - anche tu come il cielo - e poi via ai commenti inopportuni sul tramonto.
Che non è il nome giusto. Tramonto vale solo per la zona orientale dell'Italia. Perchè indica il calar del sole e degli altri astri al di là dei monti degli Appennini. Ma noi siamo in Toscana, a noi il sole cade nel mare. Non tramonta, ammara. Tramortiamo questa giornata che sempre più sembra il testo di una canzone italiana, abbraccio di lato mia sorella, appoggiamo la testa l'una all'altra, proviamo a stare in silenzio, ma senza troppo impegno, tra poco il sole si porterà via tutto, qualsiasi errore verrà  perdonato a bagno nel mare.
Andare al mare a Natale è la cosa vicina a un rituale che io conosca. Il mare, come dice Gualtieri, la più antica delle divinità.

domenica 14 dicembre 2014

BIONDA

Io e mio padre abbiamo lo stesso debole per le bionde. 
Non ricordo molto della mia infanzia, mi ricordo solo associazioni cromatiche emotive che dividevano il mondo in: Milano, mamma, mora. Londra, matrigna, bionda. Non ho mai preferito quella bionda a mia madre ma era viva l'impressione del riflesso dei suoi capelli nei miei occhi. Su entrambe le città una pioggia persistente, ma se la bionda sembrava alleggerirsi nell'umidore, mia madre annegava nella pioggia.

Photo of Daryl Hannah from Blade Runner (1982)

Vedere una donna. Se è bionda la vedi prima. Ieri sera, sapevo che saresti venuta, ma non arrivavi. Io nel frattempo provavo a interessarmi, a seguire i pezzi di letteratura underground di incredibile valore che venivano letti sul palchetto del solito posto punk dove va in scena il meglio e il peggio della mia vita di cuore. Ogni tanto provavo ad atterrare su qualche parola ma in realtà fissavo la porta tipo dalmata che aspetta il padrone. Ho incontrato amici che non vedevo da tempo, persone di un'intelligenza straziante e dal cuore infinito e non riuscivo neanche a sentire la risposta al mio - fintissimo - come stai. Sì, bene ma io stavo già fissando la porta. Ed è dura raccontare la tua vita a qualcuno che ti sta davanti e guarda dietro. Ogni tanto mi spostavo in modo da avere lo sguardo rivolto sia alla persona sia alla porta ma la persona con cui stavo parlando - Vincenzo, Andrea, Silvia, Giorgio, e chi altri, vi prego di perdonarmi - di tanto in tanto si girava per capire se avessi visto qualcuno dietro di loro, qualcuno che doveva essere Gesù o Krishna o Lady Gaga.
Comincio a vederti nella testa canuta di alcuni vecchi frequentatori del posto, gente che - come te - si è sfasciata nel tempo e nella militanza. (tu manco la militanza). 
Al 90esimo minuto mi arrendo, mi arrendo alla tua assenza e ai fuochi fatui dei tagli alla moda di milano che fanno sembrare ogni caschetto platino il tuo. Più precisamente caschetto platino argentato, con sfumatura sul collo, un punto del tuo collo dove avrei volentieri chiesto asilo permanente. 
A quel punto entri, meccanica e festosa come uno squalo in traiettoria. Vai al bancone con due amiche altrettanto biondo platino. Sembrate una congrega di cherubini nazisti. Ahi, Milano asburgica, ahi, Milano, rimmel colato di Berlino, ahi Mailand, che ossigeni i tuoi figli e li rendi insensibili all'amore a getti di cemento e design. 
Mi avvicino al bancone, il tuo biondo argentato crea vapori nell'aria, forma una specie di nube gassosa esilarante, io mi arrampico sul bancone, nel caso tu non mi avessi ancora vista. Tu stai prendendo da bere con queste tue amiche che hanno pure loro Willy Wonka come parrucchiere. Non riesco a crederci ma siete tutte il ritratto della salute cibernetica, tutte un incrocio tra Daryl Hannah in Blade Runner e san Francesco. Avete tutte un'aria annoiata e lievemente frivola, e da bionde sapete che il mondo avrà sorrisi e baci per voi. 
Non riesco a raccontare cosa sia successo dopo perchè è davvero impulsivo il protocollo che ho seguito. So che mi sono svegliata con una netta sensazione di biondo. Ma di un biondo così freddo.
Dal latino BLUDUS, che alcuni spiegarono con BLADUM, biada. Ma la verità è che questa ossessione di biondo è partita in Germania, i primi a inventare la decolorazione e la tinta bionda, forse perchè avevano visto dee bionde come te: in quel caso però l'etimo è BLODE, che significa debole, nel senso di molle, delicato.  Infine, altri riprendono BLONDEN dall'anglosassone che deriva a sua volta dall'alto tedesco BLANTAN (vedi blend, in inglese, non a caso anche legata al mondo dei liquori) verbo che significa mischiare, cioè di colore misto, grigio. Come sei tu sullo sfondo di questa città.

(Anche se una parte del mio cuore ancora spera sia la voce latina ABLUNDO, metatesi di ALBUNDO, da ALBA, con caduta della A, che accosta BIONDA agli aggettivi francesi come ALBERNE e AUBORNE, aggettivi dei colori che hanno il color dell'alba, così come, al risveglio, ho visto i tuoi - arruffati e arresi - nella prima luce del mattino.)

mercoledì 10 dicembre 2014

BOXE

Provo una palestra di boxe che mi hai indicato, davanti a casa, proprio due passi. Sia perché sono incazzata con te e ho bisogno di lasciare andare la rabbia, sia perché ho voglia di te e quindi sublimo con la boxe. Ho sempre il trauma di inizio corsi quindi avviso tutti, mando messaggi condividendo la mia paura, segnalo il mio ingresso. Ricordo le lacrime a sei anni iniziando basket. mai stata una bambina pronta per lo sport.

La palestra si chiama Ursus. E' dentro il cortile di un cortile. La porta di metallo si apre su una sala da film americano. L'unico dettaglio che nei film americani non si percepisce è l'incredibile odore di sudore, una coltre impenetrabile di testosterone quasi densa, da svenire. Fuori freddo, dentro sudato appiccicoso. Davanti a me, in mezzo a decine di uomini con casco e guantoni, due donne lottano. Due donne che forse fuori lavorano in ufficio, ma qua dentro si picchiano. Si picchiano davvero.

Il ragazzo mi dice prendi la borsa e vieni su. Andiamo su, mi guarda, mi dice: sei allenata? Hai fatto qualcosa? Io, sorridendo, ma, sì, yoga, pilates. Lui sogghigna e mi dice, ok, ogni tanto ti dirò di fermarti, tu fidati.

Sono l'unica donna oltre a un'altra, una napoletana bellissima che ha uno stile pazzesco. (che piaga sti napoletani bellissimi con uno stile). L'istruttore, piccolino, tracagnotto, ma con uno sguardo calmo e severo, ci fa fare un riscaldamento da guerrilla zapatista. Io però, fanculo, con il mio yoga pilates qualcosa ho racimolato nel corpo e riesco a far almeno la prima metà di riscaldamento: salto della corda, saltelli con le braccia che toccano sotto la gamba che si alza, piegamenti, barbis, che è una cosa massacrante cioè: il corpo scende a terra in una flessione e in un solo movimento si risolleva e tira su le mani sopra la testa e giù di nuovo. flessioni, flessioni che io -vergognandomi - faccio appoggiando le ginocchia.

Poi comincia a farci entrare nelle mosse. falsa guardia. scarica di pugni. mi accorgo di quanto sia simile all'adolescenza questa scarica di pugni nel vuoto. Quando hai quindici anni e ti alleni a "prendertela", a provare risentimento, ad abbaiare al vento. Che poi arriverà il momento di prendersela davvero con qualcuno. Dovevo scoprirlo a trent'anni che è naturale volerlo fare, voler tirare un cazzotto, un pugno.
E' chiaro, no?
Sono l'unica mancina. Sono donna, mancina e probabilmente la persona più incapace di difendersi a questo mondo. La boxe mi si addice, mi attrae, mi eccita.
Box, da cui deriva Boxe, ha tre etimologie diverse e vuol dire un milione di cose:
uno spazio cuboidale,
un cabinotto teatrale,
una trappola,
l'area di penalità,
la televisione,
la vagina,
la bara,
una tortura,
sospensorio per i genitali,
pesce mediterraneo,
cespuglio di bosso,
strumento musicale fatto in legno di bosso,
ma soprattutto, nel caso che ci interessa, deriva dal verbo boxen, to beat, colpire, battere, e box, a blow, un colpo. E' affine all'olandese boke, sempre blow, all'alto tedesco buc e ritrova echi nel greco antico PUXS, che poi con noi diventerà pugilato.

Imparo la guardia da mancina, il jab, il diretto, il gancio. Metto i guantoni e comincio a prendermela con una sacco. Jab, diretto, gancio. Forte, ma proprio forte, la forza parte nei piedi. Spalle strette come se stessi passando per un corridoio minuscolo, sfilare indietro la spalla mentre il braccio tira avanti il pugno. Mi guardo allo specchio e mi trovo molto convincente. Pugile narcisista. La bambina pugile, come una poetessa che amo.
Jab, diretto, gancio. Saltella, saltella avanti e indietro. Jab, diretto, gancio. Il sacco diventi tu, un'altra prima, tanti altri prima ancora, saltella, carica, jab, diretto, gancio. Entro nell'ipnosi dei pugni.
E' chiaro no?
Il sacco diventa:
mio padre che non c'è stato,
la danzaterapia,
lo yoga e il pilates - saltella, jab, diretto, gancio -
le sigarette ad aspettare alla finestra,
le attese,
i viaggi inutili,
gli obblighi,
la compiacenza,
il curriculum,
le esperienze formative,
gli errori,
il maestro di cui mi sono innamorata,
la mia lacunosa vita sessuale,
stare seduta tante ore di fronte a uno schermo,
facebook,
il capitalismo,
l'anticapitalismo,
gli incidenti stradali,
la depressione di mia madre,
l'acne,
tutte le frustrazioni neanche riconosciute,
tutto quello che non ho saputo o voluto fare i miei pugni lo battono e lo perdonano.
Sento il corpo riverberare come una campana, le ossa che oscillano ad ogni colpo, come se qualcuno, io stessa, mi stesse scuotendo per dirmi qualcosa. Quello stato di lieve istupidimento è uno dei regali più belli di questo strano anno.

Volevo ringraziarti, saresti molto orgogliosa di me con i guantoni a prendere a cazzotti un muro.
La napoletana in spogliatoio - uno spogliatoio quasi vuoto quello femminile, solo tre cappotti - mi dice che lo fa tre volte a settimana ma se potesse lo farebbe tutti i giorni. Si picchetta la testa con due dita, come fai tu, e dice: è  qui che mi serve, mi rilassa, è tutto qui.
Box, tante cose, tante cose, ne nomina molte, ne percuote altrettante.
Mi faccio l'abbonamento, sapete dove trovarmi.




lunedì 8 dicembre 2014

CORPO

Sei la terza donna di cui conosco il corpo. La mia guancia ha accarezzato la tua, lenta, come se volessimo tentare l'allunaggio di ogni cellula sulla pelle dell'altra. Ho baciato quell'osso, commovente, quello che sporge sul decolletè e crea una specie di fossa lunare. Ho sentito il calco del gluteo nella mia mano. I tuoi seni, di nuovo commoventi.
Io spesso non sento il mio corpo con un altro corpo. Mi fiondo sull'altro corpo girando manopole, provando sfregamenti, esercitandomi e credo che questo interferisca con tutto perchè è come se mi assentassi dall'altro per giocare al mio personale flipper. Chiamatela insicurezza ma io ancora non riesco a guardare proprio proprio l'altro negli occhi.
Ancora peggio se l'altro vuole toccare il mio corpo. Mi dico, ecco, adesso scappa, adesso vedrà il mostro. Mi posso sentire comodino, o iguana o paracarro, ma non un corpo, di certo non un corpo desiderabile. Davanti al tuo - che è un corpo da levare il sonno e la pace per quanto è bello e vivo - stabilisco un patto. Mi dico: ti prego non fare come al solito che stai nella testa e poi l'altro lo sente e tu non ti lasci mai andare e guardachebellosarebbefarelamoresetutilasciassiandare. Perchè io sono talmente spaventata e inconsapevole quando faccio l'amore che non riesco a sentire se l'altro è con me o no. Chiaro mi metto lì e con l'ostinazione di Indiana Jones ti faccio arrivare all'orgasmo, che tu sia uomo o donna, a costo di farmi rincorrere dagli indios, scappare da un tempio che sta per crollare o mangiare serpenti vivi. Mente allevata a conseguire risultati, come posso godermi tutto il resto se so che l'obiettivo è l'orgasmo. Poi c'è l'altra solita questione fastidiosa: io ho fatto il bis di corpo, non mi bastava un corpo solo ne ho dovuto aggiungere un altro sopra che mi pesa addosso. Tu hai un corpo che guizza via, hai centinaia di corse dentro, un tremolìo - adorabile - che è il riverbero di mille avventure. Il tuo corpo, fiducioso e addestrato, condiviso, distrutto e ricomposto. il mio corpo pesantepiombo, cosce chiuse e ridondanti, divani, fette al latte. Tu sei la vittoria della città di destra, ginnica, muscolare, che crede nell'educazione fisica e ha sani valori. Io sono la sconfitta della città di sinistra che ha confuso cultura con accumulo di dati e pensamenti e ha dimenticato il corpo.
Stamattina tu: ok, bellobellissimo, ma senzaimpegnograzieancoraciao
E mi lasci anche un appunto personale sul mio rapporto con il corpo: il solito, tipo guarda che sei bloccata. Grazie, gentile, prendo nota. 
Cammino per la città e mi ritrovo a risentire la tua pelle, la tua guancia, la tua pancia, il tuo ombelico rabdomante.
Ripenso ai nostri corpi scambiarsi informazioni. 
Ho provato a rallentare, a restare, a sentire. Questa volta pensavo di essere rimasta nel corpo, cristodiddio, quanti laboratori di teatro e propriocezione thailandese e yoga cibernetico devo ancora fare per ESSERE NEL MIO CORPO?
Tu, ieri sera, parlando con due dita ti picchietti la testa per dire "è tutto qui". Se la testa decide di correre maratone, il corpo lo fa, se la testa decide di fare mille flessioni, il corpo lo fa, se la testa decide il corpo fa. Io sono invece di quella parte di umanità che non riesce a non ascoltare le strane compulsioni del cuore e aspetta invano, come un regalo promesso, il giorno in cui davvero, sta minchiata di ascoltare il proprio cuore porterà risultati. Il mio cuore ha corso maratone e centometri, fatto contorsioni, ha fatto la verticale e il salto in lungo, ma non è mai riuscito a convincere il corpo a seguirlo, a fidarsi.
Aspetto ancora il giorno in cui tutto questo allenamento del cuore darà corpo: CORPO che deriva dal latino CORPUS, che i filologi approssimano all'armeno KERP, forma, immagine, dalla radice indogermanica KAR, fare, comporre.  Pare si colleghi anche il greco KRAINO, creare. Il corpo si fa quindi, non è qualcosa che capita. Non è destino ineluttabile. E' pratica, si fa il corpo. E' tutto ciò che si vede. E che ora, del tuo, non si vede più-


giovedì 4 dicembre 2014

PUNK

Ieri ti ho raccontato l'etimo di desiderio, le sue due versioni. Il mio cavallo di battaglia. Ormai ho imparato a raccontarla con tutte le pause drammatiche, con la giusta calma e le svolte anticipatorie. Milano è bella ed elettrica quando giro con qualcuno che mi piace. Siamo passate dal deposito dei tram dietro i navigli, un posto dove avrei voluto portare qualcun altro, ma tu sei qui e va benissimo mostrarlo a te.
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Giriamo e arriviamo in un locale dove andavamo nei primi anni d'adolescenza: debutti di tanfo di birra, giacche sporche e sbocco irruente. un posto in cui io ero stata una volta sola e poi mai più perchè non sapevo con chi andarci e in ogni caso mi annoiavo.
Ero uno strano tipo di punk: una punk da vetrina. Mi sarebbe piaciuto pogare, ma avevo paura di farmi male. Mi sarebbe piaciuto drogarmi per poter raccontare eroiche storie di droga ma non avevo abbastanza soldi  per drogarmi, non avevo abbastanza creatività per trovare i soldi delle droghine o genitori distratti da taccheggiare.  mi sarebbe piaciuto mettermi in qualche guaio ma non avevo amici temerari da sfidare. Mi divertivo con poco, tanta televisione e furtive, già colpevolissime, sigarette fumate di nascosto. 
Tu invece facevi per davvero: pogavi, saltavi, urlavi, ti drogavi, ti divertivi fortissimo ed eri stupefacente.
Allora ho pensato che fossi una punk.
Poi siamo andate a vedere un incontro con un regista, un tipo che ha fatto una delle interviste più famose a syd e nancy. Un tipo che ha solo amici morti di droga o in circostanze misteriose, che racconta solo storie estreme e ha i capelli bianchi ma un caleidoscopio colorato al posto della memoria. 
Le origini della parola punk, che in inglese significa senza valore, cattivo, spregevole, sono forse da reperirsi nel dialetto Algonquin del Delaware, dove ponk significava polvere, cenere. Il sostantivo PUNK viene da PUNK KID, ovvero l'assistente del criminale, che è entrato in uso all'inizio del Novecento e ha subito un'impennata nell'utilizzo dal 71' in poi quando fu utilizzato per la prima volta nella definizione di punk rock in un'intervista di Dave Marsh a Rudi "Question Mark" Ramirez. 
Non sono mai riuscita davvero ad essere così meravigliosamente spregevole. Avevo sempre una casa calda, una tazza di tè, una mamma gentile a cui non sapevo rinunciare. 
Però ieri sera con te, a sentire le storie di Kowalski, per un secondo mi sono immaginata ai bordi di una strada, strafatta a guardare il mondo con quello sguardo selvaggio e vuoto che solo un punk può avere.