martedì 17 dicembre 2019

amore

Non l'ho mai detto. Penso che sia una di quelle cose che se non le dici spesso ti muffiscono in bocca e quando provi a dirle senti che sanno di alito chiuso del mattino. Ma a noi succede qualcosa di strano: cominciamo a sentirlo capitare alla fine di una frase, veloce come un topino che si infila negli interstizi di frasi banali come "andiamo", "ma dai", "sei sicura?"

Poi ci sono giorni che fluttua nell'aria imprecisa come il primo abbozzo di fonema di un bambino (avrà detto mamma? È lallazione? Vuole il latte? Ha capito le implicazioni relazionali della cosa? Le ho capite io?).
Poi un giorno è chiaro, non ci sono dubbi: mi ha detto "Ma certo, amore".
Comincio a farmi le stesse domande: ha detto davvero amore? O ha detto mamma? È lallazione? Vuole il latte? È preorgasmico? Ha capito le implicazioni relazionali della cosa? Le ho capite io?
Ho la sensazione che la cosa sia nuova e divertente anche per lui, una specie di territorio inaspettato. 

Comincia a diventare un gioco, il nostro ping pong preferito. Amore/amore. Amore/Amore. Amore mi passi la borsa?/Certo amore. Amore sono in ritardo/va bene amore. Nessuno lo tira mai troppo lontano, nessuno fa mai uscire la pallina dal tavolo, sembriamo due cinesi al campionato nazionale di ping pong. Ci teniamo questo amore che sembra una cosa da vecchi ma per noi è una cosa completamente nuova. E poi ha ritmo, scandisce meglio le frasi. Diventa un'abitudine.
Mi capita di ricontrollare la chat per verificare l'equilibrio delle parti: lo dico più spesso io? Quando lo dice lui? Lo dice nei vocali, ma non nei messaggi, affascinante, chissà cosa vorrà dire. Lo dico più spesso io, sempre. Lallazione?

Poi una notte - dopo infiniti indizi che mi fanno chiaramente sospettare che provo qualcosa di indescrivibile e infinito per lui - mi rendo conto che sento il bisogno urgente di dirgli che lo amo, perché glielo devo proprio dire. È proprio come quando un detective scopre il colpevole, sente una gioia infinita, è una rivelazione. Ho sbrogliato la matassa, ho capito che cazzo mi succede: ti amo. È una sentenza definitiva.

(ti prego lettore, sappi che lo so che questo ti amo dura per oggi, e non so quanto durerà, ne diremo altri ad altre persone, ma quello di oggi è vero per me) 

Ma la mia mente diventa di colpo un magazzino enorme spoglio e vuoto, capannoni e capannoni di spazio buio dove queste due paroline si perdono, comincio a camminare, non so come si dice ti amo a una persona. Mi sembra di non poterlo dire oggi, nella notte tra il 16 e il 17 Dicembre 2019, mi sembra non ci siano i presupposti storici, etici, politici, climatici, narrativi, filosofici e finanziari perché io possa dire ti amo a qualcuno. 

"Senti devo dirti una cosa". Credo doveroso, prima di proseguire nel racconto, avvertire il lettore che mentre proclamo questo annuncio il suo cazzo si trova dentro di me da ormai circa 30/40 minuti abbondanti (ora più ora meno, quando faccio l'amore il tempo mi si liquefa tra le gambe). Lui all'inizio non sente, sospetta sia lallazione ed è giustamente preso dal suo progetto di godere dentro di me, quindi non fa tanto caso. Gli ripeto all'orecchio "Devo dirti qualcosa". Lui risponde sospetto. "Cosa?". Di nuovo mi blocco, paralisi, tergiverso. Come glielo dico? Mi ricordo che mio padre, quello che in eredità mi ha lasciato un mucchio di parole, mi diceva sempre "Sai quando ero un po' imbarazzato, per non dire ti amo dicevo 3 words, che in inglese equivalgono a "I love you"". In quel tempo infinito in cui lui continua a chiedermi cosa c'è - sospeso tra timori di gravidanze e lancinanti dubbi di tradimento - e io prendo tempo e dico "aspetta non so come dirtelo", decido che devo trovare anche io un modo di comunicare che non sia la parola perché da parte della mia bocca non avrò collaborazione. Ti amo si è nascosto da qualche parte sotto la lingua e non esce. 

Allora faccio quello che mi viene meglio. Scrivo. Prendo il dito e glielo scrivo sul petto, partendo da sinistra a destra: ti amo. In stampatello. Senza il punto sulla i perché appunto è stampatello. 

Lui mi risponde anche io. Volevo dirtelo. Non sapevo come.
Rimaniamo abbracciati forte.
(Il suo cazzo a questo punto è uscito a godersi lo spettacolo di due persone che si sono appena dette qualcosa di storicamente impossibile.)

Ah, la parola amore non ha etimologia per me, l'ho fatta nascere io oggi, non ha radici, non ha provenienza, l'ho probabilmente ricevuta come pulviscolo sottile, insieme alle radiazioni di Cernobyl. Ma chi può saperlo.




mercoledì 3 aprile 2019

acqua

Vedo che non ti importa, mi dici. Siamo in piedi nella mia vasca da bagno che è una di quelle vecchie in cui per entrare devi piegare le ginocchia. Io sono seduta nella parte più alta, tu sotto dove c'è lo scolo. Sono appena più alta di te e ti insapono la testa e ti bacio senza distinguere più la bocca, dal mento, dal sopracciglio, dal capezzolo, dalla piega dell'ascella. Tutto mi sembri di acqua. Sei dei pesci, questo di te l'ho saputo prima di incontrarti perché si vede sul tuo profilo Facebook. Non ci credo a questa cosa dei segni. Però ci credo. Tu tieni in mano la cornetta della doccia che invece quando sono da sola maneggio io per darmi piacere. 

Il segreto piacere dell'acqua è iniziato un pomeriggio per puro caso, credo intorno agli undici anni (esiste un'età incomprensibile tra gli otto e i dodici dove tutto si mescola, infanzia e precognizioni di morte, acuta coscienza di sé e capriccio atomico, innocenza e malizia giocano nella stessa squadra): a undici anni io leggo i fumetti in bagno e faccio il bidet. Appoggio i fumetti sulle piastrelle ghiacciate del bagno davanti al bidet. Apro il rubinetto al getto massimo, il cannello del rubinetto ricoperto con una leggera maglia d'acciaio che trasforma l'acqua in una schiuma violenta. Ruoto il rubinetto fino a miscelare la giusta quantità di acqua fredda e acqua calda (più calda però),  mi siedo sul bidet dando le spalle al rubinetto. Non so quando ho capito che il passaggio dell'acqua tra le gambe mi faceva sentire bene, non era già piacere sessuale, era solo un'intuizione di piacere, come quando alcuni scoprono che il rumore del phon li rilassa o vedi qualcuno che ti sta simpatico, non sai dire all'inizio perché. (I miei undici anni, una persecuzione di dolore, io attenta studiosa di tutti i possibili antidolorifici legali per poterlo placere). 
Poi un giorno mi esplode un orgasmo tra le gambe mentre leggo topolino. (Ci avrei messo poco a trasformare il mio immaginario erotico  introducendo cazzi eretti, spinte furibonde, tette strizzate, sudore, prevaricazione ed estasi ma per quel mio corpo undicenne tutto proteso al piacere come un fiore che cerca di raccattare le sue ore di sole sul balcone, le entusiasmanti indagini di topolino e le canoniche sfighe di paperino non avevano interferito in alcun modo con quel sorprendente orgasmo) 

Un orgasmo. È come scoprire di avere un superpotere. Come finalmente sentire che questo corpo che sembra così fuori controllo e bisognoso è capace di un immenso piacere che mi lascia tremante, senza fiato, rossa sulle guance, percorsa da un piacere propellente che mi apre il terzo occhio, già a undici anni un obiettivo prioritario. Da quel giorno l'acqua è il mio amante. 
Quando posso - posso sempre, sono spesso sola - mi ritiro in bagno, chiudo tutte le porte a chiave - per paura che il gatto possa magari entrare - e mi lascio scopare dall'acqua. 

Ma tanto si asciuga, ti rispondo. Mentre ci baciamo nella piccola vasca dove si fanno il bagno le nonne, io ti sciacquo il sapone dai capelli, ci riempiamo di baci liquidi e spruzziamo tutta l'acqua fuori. Una parte finisce sull'asse del water che è immediatamente di fianco alla piccola vasca e comincia a colare per terra. Buona parte finisce direttamente a terra e colora di nero lucido le piastrelle, conquista il tappetino, ne invade il rosa pallido con la rapidità silenziosa dell'impero romano convertendolo al rosa scuro sottomesso, organizza capillarmente la sua pesante presenza. 

Acqua: il liquido formato dalla combinazione dell'idrogeno coll'ossigeno e che per accrescimento o diminuzione di calore, dilatandosi o condensandosi passa allo stato sia di vapore e di gelo. 
Deriva dal latino AQUA che viene congiunto alla radice AK, piegare, e si ritrova nel gotico ahwa, l'alto tedesco aha e il celtico ache

Il mio amante che si piega: questa è l'acqua. Apro il rubinetto e aspetto una spinta che si piega su di me, sul clitoride. Di questo sono grata all'acqua del suo piegarsi alla trasformazione, di concedersi all'unione, ma io ho undici anni e questo non lo so, so solo che spinge senza far male, penetra e mi scioglie. All'acqua consacro il mio primo orgasmo, all'acqua rimango fedele, dell'acqua mi fido. 

Ancora di te non mi fido - come potrei - della tua acqua, invece, subito. 

Ah tu ragioni così, mi dici. Ti dico di sì, ma mi chiedo se ci sia qualcosa di sbagliato a pensare così, se sia poi vero che l'acqua per terra asciuga. Ma l'acqua si asciuga. L'acqua asciugherà, usciremo da questa vasca, io per un attimo penserò di darti il mio accappatoio ma poi penserò che forse ti fa schifo - ci conosciamo da due giorni possiamo mescolare tutti i nostri liquidi ma forse il mio accappatoio ti fa impressione - allora prenderò un asciugamano colorato e te lo sfregherò su tutto il corpo, resteremo seduti sul divano per qualche minuto per finire di asciugarci, forse ci daremo ancora baci ma senza esagerare che abbiamo appena fatto la doccia e nel frattempo tante gocce d'acqua si dissolveranno nelle fughe tra le mattonelle e cominceranno il loro grave inesorabile viaggio verso il piano di sotto dove vivono C ed M che ancora non vedono la macchia che ci metterà anni a manifestarsi. Raggiungeremo a fior di cemento la stazione Centrale nel primo pomeriggio - le gocce cominciano a infiltrarsi alle dodici - ci daremo gli ultimi baci che sanno sempre meno d'acqua e sempre più di umano, metabolico, residuale, personale e sedentario umano salivare. Prenderai un autobus poi un volo per Rennes  - che hai pagato 19.99 euro, forse 24,99?- e già sul volo sentirai asciugarsi il mio odore sulle guance, ma non lo ricollegherai a me, piuttosto a un generico ricordo simpatico dell'Italia che laverai nel lavandino del nord della Francia dove niente asciuga mai perché piove quasi sempre. Io nel frattempo proverò a coprire rapida il tuo odore con le lacrime di chi parteggia per l'acqua che scorre, per te che scorri e fluisci - è giusto, è così, questa è la libertà di cui siamo affamati - ma dentro ci sono acque tue reflue che penetrano nei tessuti, avanzano dentro le ossa. Non asciugano. Le persone che mi scopo di solito non asciugano. Diventano ritenzione idrica, diventano acqua che non idrata, non disseta, solo pesa. Come posso dissetarmi del tuo veloce passaggio torrenziale. Continuerò a fare la doccia insieme a qualcuno che non conosco e non conoscerò mai e gli dirò non ti preoccupare che asciuga.
Ci vorranno anni prima che C mi suoni al campanello per dirmi che c'è un'enorme macchia sul soffitto del bagno, mi dice, non ce ne siamo mai accorti fino a stamattina quando una goccia mi ha bagnato la fronte mentre sedevo sul cesso e io penserò a tutte le volte che ho detto "non preoccuparti, asciuga".