martedì 28 febbraio 2012

TRST


Le domando quale sia il mezzo più opportuno per arrivare da Maribor a Trieste.
Lei, slovena, scrive Maribor come provenienza e Trst come destinazione. Io la vedo digitare sullo schermo ma non dico niente. E' slovena, mi dico, evidentemente diffida degli italiani e delle vocali. Preme invio e il motore di ricerca non trova nessuna destinazione. Azzardo un timido, forse potrebbe mettere Trieste invece di Trst. Non capirò mai quale soddisfazione possa dare il colonialismo, il vincere un luogo e appropriarsi del nome. Provo infatti imbarazzo quando poi il motore di ricerca trova Trieste, in tutta la sua melodica voluttà vocalica. Ma lei non mostra stizza, solo resta girata verso il monitor, non mi guarda, forse se si girasse non riuscirebbe a nascondere una lieve ostilità, simile a quella della ex-moglie che pretende di aver superato il trauma.
Vorrei dirle che Trst per me va bene, che se vuole può chiamarmi Srh, che può trasformare tutto il mondo in un fottuto codice fiscale. Ma ormai il danno è fatto, noi ci siamo tenuti la città e l'abbiamo abbellita con le nostre donne fresche di parrucchiere e le nostre vocali sinuose.
Due ipotesi per il nome di Trieste: Ter-gestum, che significa costruita tre volte. Oppure si ricollega alla radice indoeuropea Terg che significa mercato + Este che significa città.

domenica 19 febbraio 2012

MERLO

Oggi pomeriggio - in quella che si potrebbe definire senza tema di smentita una tranquilla domenica - suono al citofono di un civico normale di una tranquilla strada del mio quartiere, un quartiere in cui abitano perlopiù professionisti, qualcuno mediocre, qualcuno imbevuto della propria gloria domestica - un quartiere in cui i pianerottoli erano già odorosi di stantìo prima di essere attraversati da vite regolari, abitazione al sesto piano e studio al piano terra, badanti corpulente, giovani figli in visita regolamentata.

Oggi la suddetta, rilevatrice del censimento del comune di Milano, suonava al citofono per sincerarsi che ogni cittadino fosse messo in grado di compilare il proprio questionario, una normale funzione pubblica.
Succede che per un malcapitato gioco degli eventi suono al campanello del signor Merlo. Il signor Merlo prima mi dice di aver riconsegnato il questionario e che non è possibile farlo la domenica, io spiego che non solo sono autorizzata ma che è consigliato andare la domenica perchè è più facile trovare le famiglie in casa. (Non menziono neanche il fatto che veniamo pagati a cottimo e che per ogni questionario, che potrebbe essere piacevole come bere il tè con un'anziana signora o tragico come incontrare appunto persone come lui, prendiamo meno di 4 euro) (non menziono neanche il fatto che se non risulta compilato lui rischia di dover pagare una multa di duemila euro).

Mi dirigo verso il palazzo di fianco e vedo avvicinarsi un uomo anziano, segaligno, bianco di capelli. Il signor Merlo. Il signor Merlo volato dal suo appartamento giù per le scale, fino alla scala di fianco dove mi trovo io. Mi guarda e mi dice, mi faccia vedere il suo cartellino. Io gli mostro il mio tesserino. Il signore Merlo chiede di vedere anche documenti in cui ci sono dati sensibili che non sono autorizzata a mostrare per la privacy (nomi, cognomi, etcetc). Allora mi obbliga a seguirlo e chiede al citofono alla moglie di chiamare la polizia perchè vuole fare un controllo dicendo che "c'è una che si spaccia per una del censimento". Io a quel punto reagisco come so reagire io: scoppio a piangere.

Un pianto che porta dentro tutta la sfiducia, tutta l'umiliazione del mondo, tutta la rabbia mescolata alla voglia di farlo sentire in colpa, di farlo sentire una merda paranoica, io, vittima totale su tutti i fronti. (ho un certo amore per il vittimismo, che si mescola alle mie fisse giudaiche).

Nella nebbia delle lacrime credo di avergli anche detto che "se lei da grande voleva fare quello che fa piangere le persone ci è riuscito".

Poi chiamo la mamma. Poi cominciano a fermarsi anche altri condomini con il signor Merlo che mi addita dicendo, "questi qua che si spacciano per operatori del censimento", cosa che continua a ripetere persino quando arrivano gli sbirri che mi guardano allibiti e provano a spiegare al signor Merlo che sono regolarmente autorizzata a fare quello che sto facendo e lo dicono con una calma che mia madre ormai ha perso visto che sta contattando avvocati lì nei paraggi e vedendo se ci sono gli estremi per intentare una causa per shock post-traumatico- sottolineando ai poliziotti il mio incredibile talento e quanto io sia una ragazza fenomenale e splendida. (roba da sprofondare).

Nel frattempo anche il signor Merlo tira fuori la sua passata storia di dolore. Sua mamma era stata aggredita da bruti figuri e in seguito a una brutta botta - sei mesi dopo - era deceduta. Lui stesso, il signor Merlo, era stato aggredito con lo stesso stratagemma del finto operatore. In qualche modo tutto questo dolore doveva trovare purificazione sulla mia persona, rilevatrice di razza. Mi sentivo Esmeralda nelle mani di Frollo.

Tutti mi difendono, ma il signor Merlo comincia a dire che è uno scandalo che i rilevatori vengano mandati a citofonare la domenica pomeriggio. Lo sbirro gli dice, beh, non è mica venuta giovedì alle dieci passate.

Insomma ho passato TUTTA la domenica a piangere.
Merlo - MERULUS in latino - si dice abbia origine da MERUS, solo. In effetti il signor Merlo questa domenica avrebbe dovuto essere lasciato da solo.
Il Merlotto è anche detto di individuo sempliciotto. Cosa che forse si è a lungo rimproverato di essere il signor Merlo dopo i brutti trascorsi.

Comunque nel censimento del mio cuore il signor Merlo non avrà mai un posto.

domenica 12 febbraio 2012

STREBEN

Giorni di diavolo, Faust, scritture. Oggi continuava a succedermi questa cosa: arrivata alla fermata del tram o autobus, mi dico che tanto vale camminare e cammino invece di aspettare.
Giunta a destinazione, dietro di me spunta l'autobus che apre le sue porte ai passeggeri e io li guardo con una certa superiorità, con l'arroganza della tartaruga che è arrivata prima, contro ogni aspettativa. (L'arroganza della tartaruga potrebbe essere il sequel dell'eleganza del riccio).

Vado a trovare la mia professoressa di inglese del liceo, una donna di profonda cultura e profondo amore per la cultura (non sempre le due cose coesistono) e ci troviamo, senza neanche accorgercene, - con il tavolo coperto di libri e vocabolari- invischiate fino al collo in una discussione fitta - mi sembrava proprio una discussione da adulti -- sul linguaggio in Faust e poi su quello Streben, che al liceo avevo vissuto come un' imposizione didattica e che invece vivevo - come neo-romantica - da tempo, inconsapevole.

Streben, tradotto come anelare, con anà come di nuovo e HALARE, come spirare, con il significato quindi di respirare con forza, frequenza. Da lì poi abbiamo il senso di bramare, tendere.

Tra i più cauti anglosassoni non c'è tutta questa foga, quest'ansia. Streben viene tradotto spesso con endeavour, come sforzo, tentativo. Dove noi ci angosciamo, loro lavorano.

Io ho deciso che il mio Streben è camminare, con Faust, andare verso un obiettivo che non esiste, forse. E la conferma è arrivata a sera leggendo un nuovo, ennesimo, manuale su creatività inespressa, dove ho trovato la seguente definizione di umano: la parola tibetana che indica umano è a-Gro-ba, andante, "colui che intraprende migrazioni" Poi ho guardato giù dal ponte sul Naviglio Grande e c'erano, proprio sopra la superficie ghiacciata del canale, orme tracciate sulla neve, di qualche papà romantico che aveva deciso di camminare sulle acque, temporaneamente solide del naviglio. (orma piccola, orma grande)

Camminare, umano, Streben.


giovedì 2 febbraio 2012

NONOSTANTE

Stamattina prima di prendere l'autobus ho preso dalla poltrona rossa un romanzo di Edmondo De Amicis minore - pubblicato da un piccolo editore mantovano - che s'intitola Amore e ginnastica. La gioia candida della neve, il silenzio bianco del mattino mi stuzzicavano certi pruriti da educanda immuni persino all'immonda e coprolalica calca delle nove del mattino su un autobus milanese. E sì, la neve era bella però rendeva tutto anche più drammatico. Insomma leggo la storia d'amore tra il segretario Celzani detto il seminarista, per via del suo aspetto e atteggiamento da prete e la maestra Pedani, larga di spalle, stretta di cintura - il tipo che il segretario Celzani aveva accarezzato nei suoi sogni ardenti di seminarista, la figura che aveva vagheggiato confusamente per tutto il corso della sua calda gioventù castigata.

Non vi posso dire quanto mi fosse grato il cuore, amareggiato da troppe ciniche trasmissioni televisive a ripercorrere i turbamenti quieti e tremendi di anime probe.

Ma è quando ho visto "nonostante" che mi sono commossa.

Era scritto infatti così: non ostante.



Mi è apparso in tutta la sua gloria nascosta. Come avevo potuto dimenticare nella cantilena del parlato, nell'ovvietà di certe considerazione che nonostante altri non è che non ostante, cioè "che non osta" che non impedisce, che non contrasta.

E' talmente mansueto nonostante da non ostacolare persino la nostra superficialità nell'usarlo a sproposito.

Oggi un tipo mi ha dato della cicciona perchè con la mia bici in contromano con il rosso gli impedivo di procedere con il suo motorino nel senso opposto. Se fossi stata non ostante invece che ostante forse si sarebbe trattenuto dal saturare tutta la sua rabbia e frustrazione emettendo un verdetto sibilante e crudele sulle mie fattezze che il De Amicis non esiterebbe a definire simili a quelle di una statua.