venerdì 3 marzo 2017

mantenuta

Comincia tutto con me che supero il tornello della metro di San Babila e dico al mio amico Luca: davvero non so cosa fare della mia vita. E lui, esclama: "Cara, questo si era capito da mo'. Sei confusa. Dai trovati qualcuno che ti mantenga e continua pure. Suvvia, un'altra persona confusa al mondo, oddio che noia".
Mi blocco come se qualcuno pronunciando un'odiosa formula mi avesse trasformato in una statua di sale che scende le scale mobili.
Quindi il mio mago mi ha detto quello che doveva dirmi e mi ritrovo nuda sulla banchina di San Babila. Forse sì, forse è quello che vorrei fare, gettare via tutto e lasciarmi accudire, lasciare ammorbidire le ossa, imbalsamare le certezze, provare profumi alla Rinascente, passeggiare su perimetri sempre identici, metterci mesi a scegliere un cane, disinteressarmene, non provare mai la paura, certi giorni non alzarmi dal letto per decidere di nuovo chi sono, lasciare che il giorno si svuoti come una vasca da bagno mentre screpolo le dita.

Sono cresciuta su due precetti fondamentali: si vota a sinistra e non ci si fa mantenere. Come se tutte le donne prima di me fossero esistite in un'immaginaria scala di evoluzione progressiva solo per portare me a essere indipendente, talmente indipendente da non dover rendere conto al mondo neanche dell'aria che respiro, dell'acqua che bevo e del sole che mi scalda. Indipendente come unità di completa autosufficienza.
Così forse con me, immagino, si può passare il solvente sul matrimonio di mia madre (sai, lui mi amava e questo mi sembrava una cosa bella, una cosa per cui vale la pena di ricambiare), sul matrimonio di mia nonna (l'avevano proprio assegnata a quell'uomo, non penso lo avessero neanche chiesto a lei, erano tempi difficili) e perfino sul matrimonio di mia sorella che è un capolavoro di equilibrismo tra sincero affetto e totale assenza di una progettualità personale.

Il giorno dopo ricevo un rifiuto sul lavoro, una prova di traduzione che ho fatto probabilmente in modo sciatto, perché diciamocelo, da quando ho voglia di fare le cose per bene? Vorrei incolpare il capitalismo della mia sciatteria (fanculo al "sistema" che mi fa sentire sempre inadeguata) e una parte di me pensa anche che potrebbe reggere come argomentazione ma sarebbe una stronzata perché sappiamo tutti quanto siano meravigliose le cose fatte bene.

Quindi non ho nessuna attenuante per la mia sciatteria: forse solo una generica mancanza d'amore. Alla mia terapeuta dico che potrei tornare a frequentare il mio amico d'adolescenza, quello che ogni tanto a distanza di anni ci si rivede, quello che mi farebbe sentire finalmente protetta, quello di buona famiglia, di ricche sostanze, che ha una mano abbastanza grande da chiuderla un poco sopra la mia testa e schermare il vento e la pioggia.
Quello, dice la mia terapeuta, è anestesia: perché dovrei chiedere l'anestesia prima ancora di provare dolore?
Le dico che ho paura e perché non dovrei cercare protezione, simbiosi, qualcosa di giusto e naturale?

Il mio dolore ha la forma di una botola, una specie di botola che si apre sotto ai piedi nei momenti più inaspettati. Di solito sono pensieri legati all'insicurezza, al fatto che potrei morire sola, abbandonata, dimenticata, potrei non trovare mai la mia strada, pensieri che abbiamo tutti un giorno o l'altro. Lo stesso senso di precarietà che tutti i giorni mi alleggerisce i talloni, quando c'è la botola, mi uccide.


Seguo il consiglio della terapeuta, lascio stare il progetto di circuizione dell'amico benestante e parto con te, che hai mani piccole e sempre desiderose di uno strumento. Siamo in una città dove vengono molti innamorati, noi no, noi siamo piccole bambine sperdute. Gli innamorati invece qua si tengono per mano. Come se fosse un accordo silenzioso di sottile tensione, diverso dal braccetto, dove qualcuno tiene con l'anello del proprio braccio e l'altro si fa sostenere. Il braccetto crea prossimità ma anche disparità.

Tenersi per mano è invece una continua negoziazione: a qualcuno viene in mente che sarebbe bello tenersi per mano. Quando? Soprattuto perché ci si tiene per mano? Qual è l'etimologia di questo gesto? Chi è stato il primo a tenersi per mano e a vedere che funzionava? Che succedeva qualcosa di bello quando due persone si tengono per mano.

C'è un rischio mortale nella prima esitazione: io di solito quando prendo la mano guardo da un'altra parte come se stessi cercando di sfilare il portafoglio, sono troppo timida per reggere lo sguardo di lieve sorpresa di qualcuno a cui viene presa la mano. (Quello sguardo penso di non averlo mai visto) Quando prendi la mano lasci che venga presa la tua. Sacrifichi quella mano per l'altro: non puoi muovere quella mano, non puoi usarla per rafforzare l'equilibrio del tuo corpo, quella mano si salda e la tua mano opposta diventa la mano dell'altro: se per esempio dovessi incontrare qualcuno potresti abbracciarlo usando il braccio dell'altro. Qualche volta le mani ondeggiano, qualche volta una mano tira lievemente l'altra, fino alla tragedia del palo della luce che separa gli amanti.

Ma non ci teniamo per mano noi, non serve. Nulla s'infrange della nostra reciproca figura, lasciamo tra noi due tutta l'aria che può esserci tra due corpi molto vicini, come quelle sottili intercapedini tra i vetri dei finestrini degli aeroplani, che creano uno spazio di aria compressa. La notte, quando hai smesso di suonare qualsiasi cosa ti capiti a tiro, ti tengo tutta nella mia mano aperta, come se riuscissi a raccogliere il pube, le natiche, l'incavo delle gambe, tutto ciò che sento sconfinato ma in realtà si raccoglie in una mano. Poi abbandono la presa, sento la tua mano, così piccola, una mano che non contiene nulla, che ha dita sfuggenti e ruvide, da guappo di strada. Ma si compie il miracolo del tatto, sdraiate ci teniamo per qualche momento le mani, in assenza di gravità, senza temere tocchi diseguali, come le mani di due alieni che si toccano per la prima volta. Gli amanti passeggeri sono buffi, sembrano scoprire in quel momento una cosa così ovvia come una mano. (Oh senti com'è liscia, che nocche grandi che hai)
Tu vieni da una terra dove dite "mantieni", quando passate un oggetto a qualcuno per tenerlo. Noi qua diciamo solo "tieni", come se fosse scontato che si tenga con la mano. Eppure c'è una cura, un'insistenza tenera e antica in quel "mantenere".
Mantenere: dal latino manu-tenere, che nel senso proprio vuol dire tenere fermo e fisso, tenere nelle medesime condizioni.
In questo senso, nel senso di essere tenuta ferma e conservata nello stesso modo non voglio essere mai mantenuta, ma di quelle mani notturne, le tue, che non so quando rivedrò vorrei mantenere il ricordo.