venerdì 23 settembre 2016

Sincera

Tu ti sposti, perché il tuo regoergometro è rotto. Allora ti siedi di fianco a me. Io sono talmente abituata ad arrossire in queste circostanze che davvero non ci faccio più caso: ho la calma pericolosa della piastra rovente. Soprattutto guardo in basso. Rossa e sguardo basso. È la mia tattica di seduzione. Ah, sì, rossa, sguardo basso e niente ceretta. Infatti mentre continuo a remare comincio a guardarmi le ginocchia, il punto più bastardo, dove i peli crescono con una violenza da bulli, anche se devo dire che toccarli contropelo mi rilassa abbastanza. Nonostante l'accanimento della mia estetista che ne ha fatto una sfida personale, quei peli non si levano, restano, come i palazzi brutti a Gratosoglio. Tu cominci a remare di fianco a me, con il tuo attacco slanciato, elegante, spingendo senza sforzo quei sei o sette chilometri di gambe abbronzate che non sembrano affatto risentire del fenomeno del pelo da battaglia. Poi l'istruttore ci vede un po' troppo sbarazzine e fa partire un tremila.  Che vuol dire remare tanto. Tu sei capovoga. Io sono felice. Potrebbero essere le prove generali del nostro amore, visto che ancora non ci conosciamo e non ricordo il tuo nome, ma tu hai il sorriso più bello dell'universo e l'altra volta quando avevamo finito di vogare tu mi hai battuto il cinque e da lì ho capito di essere innamorata perché non ho mai provato nulla per qualcuno che mi avesse battuto un cinque, ma con te invece è una sensazione di sublime demenza.
Remare insieme prevede una connessione particolare: parti da una posizione comune tenendo i remi alla pancia, spingi i remi in avanti piegando le ginocchia e il carrello e poi di nuovo ti spingi indietro per dare il colpo. Tutto questo deve avvenire all'unisono, mentre il remoergometro calcola giri di pala e altri numerini. È difficile che accada se non si respira insieme e trovo questa cosa infinitamente romantica. Con la coda dell'occhio guardi sempre il capovoga per assicurarti di essere con lui, né in ritardo né in anticipo. Quindi mentre per esercizio devo assicurarmi di andare al tuo tempo comincio a farmi clamorose seghe mentali sul fatto che se fossimo in un film ora uno sceneggiatore ci avrebbe infilato una conversazione telepatica in cui io e te, con il sangue che pompa alla stessa velocità e il respiro che trangugia e sputa la stessa aria nello stesso momento, parliamo con il pensiero perché il canottaggio ha fatto il miracolo. Soprattutto dopo venti minuti di voga continua io ho smesso di pensare ai miei peli e spero che nella fatica tu non abbia davvero visto i miei. 

Apro una parentesi per descrivere il conflitto interiore che mi divora riguardo ai peli superflui: vorrei abitare in un mondo in cui il pelo superfluo venga accettato perché è sessista e ingiusto che la donna debba pagare e soffrire per la pelle liscia, ma perfino io li trovo inaccettabili - e vado in giro in modi deprecabili con una mamma che mi urla spesso "no, in pigiama con te al bar non ci vado"- quindi mi ritroverei a creare un mondo di cui neanche io vorrei far parte.

Ritorniamo a noi che remiamo. L'istruttore ci ordina lo stop quando ormai le braccia non le sento più e non riesco più a spingere. Tu invece. Ci alziamo, andiamo sul prato, facciamo gli ultimi esercizi del massacro. Mentre ci scassiamo di flessioni, saltelli, balzi e addominali penso che però è bello condividere questi momenti di sforzo. Certo i fari illuminati evidenziano il mio pelo ma a questo punto mi sento come una donna nel bel mezzo di un parto che ormai non ha più nessuna dignità da difendere e neanche gliene frega una mazza. 
Poi finisce l'allenamento. Io mi allontano ripercorrendo nella mente tutte le possibili scuse che avrei per poterti rivedere, visto che poi forse ci smistano di squadra e io potrei - Laura Pausini aiutami a dirlo tu bene - non rivederti mai più. 
Poi tu mi raggiungi mi tocchi una spalla e mi dici hei, tu da che parte vai?
La frase suona come l'orgasmo di cento angeli ma poi mi volto con l'ansia di un concorrente di rischiatutto alla domanda finale: siamo sui navigli, o di qua o di là, ho cinquanta per cento di possibilità di rispondere dal lato sbagliato. Ma ormai mi hai visto i peli, il sudore su cellulite e il tremolio della carne ai balzi e puoi vedere di me anche un certo impaccio quando indico di là. ma se vuoi t'accompagno! (dove? perché? E poi non serviva! Tu vai nella stessa direzione!) Tu mi sorridi e cominciamo a camminare. Io sfodero la mia solita tattica di rossore e sguardo basso che unisce me e Humphrey Bogart, passando per lo Yeti, in una lega immaginaria della sfiga in amore.
Però ci mettiamo a prendere in giro l'istruttore e gli altri e allora ridiamo: nel reparto derisione altrui per sciogliere la tensione vado forte.  Hai davvero il sorriso più bello dell'universo.  
Poi tu mi chiedi il numero. Io rispondo con quella disponibilità appena troppo accennata che vorrebbe passare per disinvoltura ed è invece senza dignità come il mio gatto quando verso i croccantini. Poi mi saluti e ti allontani. Poi ti volti, ritorni e mi dai un piccolo bacio sulla bocca, poi sfuggi. Ma io sono piuttosto perplessa. 
Sì, perché non è che io sia proprio una che si vede. Alcune hanno una camminata più maschile, alcune un abbigliamento, altre ancora qualcosa di forte nei lineamenti. Ma io sono una lesbica poco definita né in grado di vivere con grazia quei momenti. Cioè se smettessi di essere lesbica domani dubito che qualcuna se ne accorgerebbe. Che abbia voluto sfidare la sorte? Come sapeva da un tragitto di pochi metri che quella simpatia era già attrazione? Poi ho capito, erano le mie gambe sincere.

Qui arriviamo alla parola di cui volevo parlarvi: SINCERA. 
Sincera deriva da SINCERUS che dicono composto di SIN, senza e CERA; cera. Si dice di qualcosa scevro di finzioni, che alcuni fanno derivare dal miele senza cera che è puro, mentre fanno riferimento agli scultori che non usavano la cera per mascherare i difetti delle loro sculture. Così io sono stata sincera con te da subito, e non ho usato nessuna cera, né d'api né al titanio, per mascherare un incredibile irsutismo. Questo fa di me una persona letteralmente sincera.
Dal momento che sono proprio sincera è bene che io precisi che da "Poi tu mi raggiungi..." in poi ho inventato tutto e che se devo essere sincera era meglio se a sto giro una cera me la facevo, che neanche le lesbiche impazziscono per i peli.