Giorni di diavolo, Faust, scritture. Oggi continuava a succedermi questa cosa: arrivata alla fermata del tram o autobus, mi dico che tanto vale camminare e cammino invece di aspettare.
Giunta a destinazione, dietro di me spunta l'autobus che apre le sue porte ai passeggeri e io li guardo con una certa superiorità, con l'arroganza della tartaruga che è arrivata prima, contro ogni aspettativa. (L'arroganza della tartaruga potrebbe essere il sequel dell'eleganza del riccio).
Vado a trovare la mia professoressa di inglese del liceo, una donna di profonda cultura e profondo amore per la cultura (non sempre le due cose coesistono) e ci troviamo, senza neanche accorgercene, - con il tavolo coperto di libri e vocabolari- invischiate fino al collo in una discussione fitta - mi sembrava proprio una discussione da adulti -- sul linguaggio in Faust e poi su quello Streben, che al liceo avevo vissuto come un' imposizione didattica e che invece vivevo - come neo-romantica - da tempo, inconsapevole.
Streben, tradotto come anelare, con anà come di nuovo e HALARE, come spirare, con il significato quindi di respirare con forza, frequenza. Da lì poi abbiamo il senso di bramare, tendere.
Tra i più cauti anglosassoni non c'è tutta questa foga, quest'ansia. Streben viene tradotto spesso con endeavour, come sforzo, tentativo. Dove noi ci angosciamo, loro lavorano.
Io ho deciso che il mio Streben è camminare, con Faust, andare verso un obiettivo che non esiste, forse. E la conferma è arrivata a sera leggendo un nuovo, ennesimo, manuale su creatività inespressa, dove ho trovato la seguente definizione di umano: la parola tibetana che indica umano è a-Gro-ba, andante, "colui che intraprende migrazioni" Poi ho guardato giù dal ponte sul Naviglio Grande e c'erano, proprio sopra la superficie ghiacciata del canale, orme tracciate sulla neve, di qualche papà romantico che aveva deciso di camminare sulle acque, temporaneamente solide del naviglio. (orma piccola, orma grande)
Camminare, umano, Streben.
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