sabato 14 aprile 2012

TRISTE

Milano, cielo coperto, via Savona in preda ai primi conati da Salone del Mobile. Provo tutta insieme per un momento la tristezza mai provata in vita mia. Non ho nessun valido motivo per essere triste: la mattina sono andata dal parrucchiere, ho comprato l'olio essenziale di ylang ylang, ho mangiato le linguine al nero di seppia, ho conservato l'osso di seppia, vago senza meta, posso andare dove voglio e fare quello che voglio. Eppure mi sembra di spingere un enorme masso dentro me stessa. Quasi come se l'atmosfera fosse difficile da attraversare. Ma non so da che parte arrivi il peso. Se provo a trovare nuovo slancio progressivamente una forza opposta e contraria annulla questo tentativo.

Triste deriva dal latino TRISTEM che qualcuno deduce da TERERE, rodere, consumare. Ma non è quello che sento, non mi sento rosa, se mi sentissi rodere direi che sto rosicando, non che sono triste. Il rosicamento è brulicante, rumoroso, mascellare. No, il mio triste è più legato alla seconda interpretazione che lo riconduce al sanscrito trsta, ruvido, brusco.E ancora meglio l'etimo threostru, tenebre, di conio anglosassone, un grande popolo inventore del tè della cinque, dell'ombrello nero e della tristezza. Vago nelle tenebre. Milano help me, troppo cemento, troppo cemento.

Per ricompensare di tutta questa agghiacciante tristezza - interrotta solo dalla luminosa voce di Massimiliano - leggo di notte un'intervista a Toni Morrison, autrice afroamericana di Beloved, e premio fucking Nobel per la letteratura che fuga ogni dubbio con una frase che mi ricorda d'un colpo cosa sia la scrittura e cosa sia la tristezza:

"I want to feel what I feel. What's mine. Even if it's not happiness, whatever that means. Because you're all you've got."

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