giovedì 18 maggio 2017

raku

Sono arrivata senza nome, senza pelle, gomme a terra. Non riesco a parlare con nessuno e provo solo a trovare la giusta dissolvenza a nero sul nostro rapporto. Siedo sul dondolo fuori e scrivo, traduco, faccio il caffè, chiamo qualcuno, ma in realtà chiamo per restare in silenzio. Tutto intorno a me fiorisce o dichiara il proprio arrivo nel mondo, esplode di gioia, in frenesia di rondini e sole che si prepara all'assedio estivo. Tra gli altri c'è raku, il nuovo cucciolo di mia sorella; nero, leggermente strabico, con la lingua sempre penzoloni per la gioia, un fremito per ogni farfalla che passa, ogni carezza un tripudio da celebrare con almeno un minuto di salti. 

Raku è la tecnica orientale di smaltatura utilizzata da mia sorella per le sue sculture: un'alchimia che abita i miei ricordi d'infanzia, qualcosa che ci rende esotici e diversi in paese, qualcosa che non sapevo raccontare ai bambini del borgo, una parola con la k, preziosa, specifica, incomprensibile ma per noi domestica, una sottile dichiarazione d'estraneità alla comunità dell'alta maremma dove mia sorella abita da tanti anni; per il borgo il cucciolo raku diventa ragù o draco o daco, ne accarezzano il pelo ma ne riformulano il nome, lo traducono. 

La vista di mio nipote di un anno che scambia voraci colpi di lingua con raku è sufficiente a strigliare il nero e cupo destriero che mi tiene distante. (hey, guarda! sono diventata grande, anche io ho la mia depressione, finalmente, ora posso unirmi con piccolo tonfo sordo agli adulti, quelli che hanno negli occhi il taglio preciso del diamante, quello che recide ogni speranza infantile).

Presto al mattino e tardi nel pomeriggio io e raku usciamo a camminare. Il primo giorno restiamo al guinzaglio per tutto il tragitto: dalla casa, nascosta in mezzo alle colline, si percorre un sentiero nella boscaglia e si arriva al borgo. io però patisco il guinzaglio più di raku, mi sento più prigioniera di lui. (come fanno le persone di potere a sopportare quella tensione continua?) quindi per egoismo dopo un paio di giorni di negoziazione - primo tratto senza, poi dove c'è l'incrocio lo lego, poi di nuovo nella macchia lo tolgo - andiamo senza. Lui trotterella sereno, annusa, mi guarda, si allontana di pochi passi ma subito ritorna al mio fianco, in virtù di quel misterioso campo magnetico che connette il cane all'umano. 
(È per questo che hai preso un cane? per questa sensazione di invisibile persistente devozione? non ti bastavo?)


C'è un tratto nel bosco che corre in rettilineo lungo un fosso, è un punto quasi magico, dove ci è capitato spesso di scorgere tane di draghi flessuosi e fosforescenti. Ma qualcosa attira me e Raku, un corposo movimento di foglie nel fosso. Mi allungo aspettandomi, con timore ed eccitazione, di vedere un sorcio. Ma è un uccello. Un uccello di cui non conosco il nome, con un becco lungo e appuntito, non un semplice passerotto, una  grande testa ovale arancione e ali ripiegate grigio-marrone. dev'essere ferito perché prova a risalire la china del fosso e ad aprire le ali ma non riesce. 

io e raku sul bordo lo guardiamo. io penso che potrei prenderlo in mano e salvarlo, come si faceva da bambini, ma poi non saprei cosa farne, dove portarlo, penso che mi sporcherei le mani, che stavo solo andando a fare la spesa, che sì, sarebbe bello salvare un uccellino, non avevo letto da qualche parte che era quello un gesto puro, ma per me non è più tempo di essere pura, posso solo essere adulta ed accettare lo smacco, penso che gli uccelli hanno qualcosa di malato tra le loro piume e ho paura di ammalarmi toccandoli, penso che non sono pronta a salvare una vita per davvero, ma qualcosa dentro di me ancora presenta appelli e petizioni, mi chiede di salvare una vita, si presenta un'adunata chiassosa, finché con un leggero balzo, quello che io non riesco a fare, raku salta nel fosso e comincia ad abbaiare contro l'uccello. 

io, ingenua, penso lo stia spronando - maledetta disney - ma l'uccello, che non è della disney, si agita e tira colpi d'ala impotenti, senza riuscire a sollevarsi, poi cinguetta forte, chiaramente contro raku. Io anche comincio a urlare forte "raku!" "andiamo!" "raku lascialo stare", "raku!". Tutto intorno a noi è lieve ondeggiare silenzioso di foglie e rami, ma noi tre siamo urlando fortissimo e siamo agitati e quando il suono delle nostre urla satura il fosso, raku tira un forte morso al collo dell'uccello e lo uccide sul colpo, mentre continuo a urlare e sento il mio collo spezzarsi, la cartilagine cedere al morso deciso, quello che chiude ogni negoziazione e subito dissolve qualsiasi segno di vita nel piccolo uccello. 

Io mi accovaccio sul fosso e piangendo guardo raku che continua a tirare morsi, aspettandosi reazioni, scatti, movimenti, vedo sorgere la delusione che spesso coglie il carnefice quando la vittima gli tira lo scherzo più atroce, quello di morire, di sottrarsi al gioco, vedo la frustrazione di raku mentre solleva in bocca l'uccello e la riapre per farlo cadere nell'umidore delle foglie del fosso, sperando di rianimarlo. Non sa cosa farsene di questo uccello ora che è morto ma lo trascina per un pezzetto, lo riavvolge, lo rigira.

raku mi guarda e non ha dubbi: lui è un cane, quello è un uccello e io sono io, non ci sono sovrapposizioni di sorta né possibilità di mescolare e di pasticciare come faccio io che mi sento io accovacciata sul fosso, che mi sento cane festoso di sangue, mi sento uccello con ossa di cannuccia e collo spezzato, mi sento persona che già scrive di questa esperienza e mi sento persona deboluccia alla vista della morte e che stasera mangerà pollo impanato, con carne rilavorata, senza gli spasmi e i singulti che mi gonfiano il petto in questo momento. che non so spiegarlo a raku che forse il problema è proprio quello, di sentirsi sempre altro da sé, altrimenti sarebbe più facile.

raku riprende la strada, scondinzolando, si avvicina per leccarmi, fresco di omicidio, stasera forse di nuovo leccherà con sincera passione la faccia di mio nipote che emetterà guaiti di gioia di cucciolo.

p.s.: è solo dopo qualche ora che la donna, addolorata e confusa, legge su wikipedia che raku in giapponese significa "gioia di vivere".



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