Una sera a cena con amici conosciuti da poco mi trovo a raccontare questa storia, per puro spirito di provocazione:
ero appena rientrata in Italia e avevo bisogno di essere toccata, una cosa di cui ho spesso bisogno, il contatto umano. Molti dei miei amici erano partiti e di altri avevo perso i contatti, letteralmente. Mia madre non è un tipo da coccole, non ho un gatto, una conversazione skype non ha la pelle e quindi decisi di comprare un massaggio.
Avevo pochi soldi ma tanto desiderio quindi l'offerta di un centro massaggio orientale per un massaggio a 15 euro rispetto ai consueti 60 mi sembravano l'unica via percorribile al fottuto self-care.
Entravo per rilassarmi, ma qualcosa nei vetri oscurati, nella grafica, nel ritratto della signorina orientale in vetrina che mi sorrideva in mezzo alle palme mi comunicava una segretezza sospetta, qualcosa di sconosciuto e proibito e poi forse una parte di me era perfettamente a conoscenza del fenomeno dell'happy ending. Ma al tempo stesso io volevo solo un massaggio.
Entro, dico 'voglio quel massaggio, quello da 15 euro', la donna cinese che gestisce il posto con una perfetta messa in piega senza dire nulla mi consegna una bustina quadrata di plastica contenente il tanga, come quello si indossa nei centri estetici quando vai a fare la ceretta.
Senza tante cerimonie mi infilo nella stretta cabina dove c'è il lettino, gli ambienti diventano sempre più piccoli, mi assediano sempre più stretti. Mi spoglio, mi infilo le mutandine ed entra un piccolo uomo cinese dal sorriso dolce.
Per un assurdo pregiudizio iniziato chissà dove e chissà come sono incapace di mettere in relazione i cinesi e il sesso. È una specie di pathway neuronale inattivo. Non mi pongo quindi neanche il problema, anche se sento emergere una leggera sensazione di disagio, che confondo con curiosità che poi decido di impastare con tanta compiacenza perché comunque, è bene ricordarlo, volevo un massaggio, solo un massaggio, non volevo sollevare problematiche di genere, confini e consenso, soprattutto con una donna d'affari cinese che gestisce un centro massaggi in centro a Milano. Mi sembrava troppo per una persona che vuole solo un massaggio. E poi il piccolo uomo cinese era molto diverso dai muscolosi massaggiatori che di solito intervengono nella mia fantasia preferita, quella appunto del centro massaggi.
Mi stendo sulla pancia, slaccio il reggiseno e infilo il viso nel buco del lettino da massaggio che segnala al mio corpo una resa completa. Il piccolo uomo cinese si versa sulle mani l'olio da massaggio - chiaramente johnson e johnson cinese a giudicare dall'odore- e comincia a massaggiarmi con la stessa buona volontà che i lillipuziani possono aver avuto nell'ancorare Gulliver alla sabbia con le funi. Mano a mano che procede con il massaggio sento le sue mani crescere, il mio corpo perde di contorno e definizione e ogni punto della mia pelle si equivale. È solo infatti quando ho un orgasmo che mi rendo conto che le piccole mani del cinese avevano stimolato la mia clitoride - non la spalla o la coscia, con una precisione che denunciava molta esperienza o un intuito fenomenale sul corpo femminile. Diciamo che avevamo saltato molti passaggi nella relazione ma che in quel momento mi aveva reso felice e soddisfatta.
Il piccolo uomo cinese non parla italiano (forse è questo il successo della nostra istantanea relazione?) e ripete solo "tu molto bellissima". Io arrossisco, mi rivesto, pago i miei quindici euro guardando la donna d'affari cinese per capire se era davvero compreso questo momento d'intimità e poi esco.
Esco con un generico senso di leggerezza, ilarità e stupore. Ma nessun senso di violazione, nessun senso di molestia.
Durante la stessa cena con amici conosciuti da poco un'altra ragazza racconta invece di essere entrata in un centro massaggi e, senza descrivere nello specifico, di aver avuto la crescente sensazione che le incursioni fulminee della mano del massaggiatore - un muscoloso massaggiatore ayurvedico - avessero poco a che vedere con benefici terapeutici della stimolazione dell'osso sacro. Lei si era sentita molestata, violata, assediata, insidiata e tante altre cose che danno un'inspiegabile sensazione di sporcizia interna. Così anche la sua amica che aveva ricevuto un trattamento dallo stesso massaggiatore. Come nello schema classico della molestia nessuna delle due ha fatto nulla per quella specie di paralisi che interviene nella preda e che impedisce non solo di denunciare ma proprio di pronunciare qualsiasi parola.
Alle volte mi chiedo se sia un fenomeno biologico inventato da madre natura per farci comunque stare zitte e riprodurre la specie. Non lo so.
Mi chiedo se anche la mia generica sensazione di ilare stupore fosse un meccanismo di difesa e protezione del mio molestatore, il piccolo dolce uomo cinese, che non ho mai più rivisto e che ad oggi rimane uno dei pochi uomini in grado di farmi sciogliere di piacere.
Alla cena sono presenti anche dei maschi etero cis che con lei adottano un'espressione simile al cordoglio mentre con me si lanciano in grasse risate e commenti a suggerire che il mio atteggiamento così disinibito e allegro sia frutto del mio essere, tutto sommato, una troia. Lo si dice con totale amicizia, ma il fatto rimane. Se non mi sono sentita violata è solo - forse perché sono un po' zoccola.
Comincio a pensare che il problema non sono questi maschietti cis divertiti, ma la mia stessa percezione di consenso. L'aver costruito tutta la mia femminilità sul concetto di protezione e difesa. Sull'aver pensato che il consenso sia materia giuridica e non emotiva, biologica, tissutale, corporea, circostanziale e arbitraria. Costretta a pensare che per esercitare in modo saggio il consenso io debba avere una "solida fibra morale" o un certo rispetto per me stessa. Come se scopare in giro, fare l'amore sia solo un atto di abbandono di sé e del proprio corpo.
Come se il consenso fosse un bottone che premo solo io.
Consenso, come tutte le parole che iniziano con co-, allude a un insieme, a un + di persone, a una collettività. Il consenso è quindi qualcosa che si costruisce insieme, è cum e sentire, sentire insieme, non ha solo a che vedere con me che dico sì o no, tu entri o non entri.
Ho la sensazione, dovuta forse solo al mio rifiuto del progresso, che nella precipitazione del senso di ogni relazione a una relazione di scambio - io offro questo, tu cosa mi dai - ci siamo persi il vero punto della relazione che è il processo di formazione della relazione. Cioè io da te voglio qualcosa che tu mi dai o non mi dai. Senza dimenticare che proprio il consenso - anzi la formula "mi consenta" usata da un personaggio particolare - è diventato l'emblema dello scambio di favori sesso-potere.
Il mio obiettivo non è la relazione ma un punto di esaurimento di ogni desiderio. Me la dai o non me la dai. Così anche io, che invece di costruire relazioni in cui le coccole sono il prodotto di uno slancio spontaneo d'amore, prendo i miei soldi e salto i passaggi, compro un massaggio, voglio il risultato finale.
Anche il mercato, immagino, all'inizio forse era la scusa per gli umani per stare insieme, mentre ora è solo un tramite per arrivare al possesso di un oggetto, tu umano sei l'ostacolo al soddisfacimento del mio desiderio. Perfino quando cerco coccole tu umano, tu webcam girl, tu puttana, tu persona con la tua vita, le tue resistenze, i tuoi problemi e le tue gioie, sei l'ostacolo a quello che voglio io, quel posto vuoto dove io scopo, eiaculo, provo piacere, mi scarico, mi libero. Spostati, per favore, ti devo consumare.
Consenso: supino (eh, sì) di consentire, CUM = insieme, e SENTIRE, nel significato metaforico di pensare, sentire. Essere dello stesso sentimento, parere. Aderire, concordare.