martedì 23 settembre 2014

RAMINGA

Ho visto che l'ultimo post risale a un anno fa. Non male se si pensa che mi ero prefissa una media di un etimo al giorno. E capita, come sempre capita con le parole, che questo stato di abbandono sia perfetto per la parola di oggi. Ho regalato infatti a Marica la grafica (fa rima) la piccola preghiera del pellegrino che mi ha regalato a sua volta il mio maestro Lello. Un uomo che mi ha insegnato a far risuonare gli armonici. E a spaccarmi le ossa contro una parete di alluminio gigantesca. E a superare le delusioni d'amore con le interferenze sonore.

Marica legge e mi chiede: cosa vuol dire raminga?

Brava Marica, fa sempre le domande che servono. Non parla molto, solo il necessario. E' una madre, penso, una madre fa spazio per le domande che arrivano. Quindi è bene che non parli tanto.

Mi ero anche riproposta di cercare il significato della parola raminga ma nel mezzo si erano frapposte domande come "ma faccio pilates domattina?" e "perchè non mi risponde?" e "dovrei scriverle anche su whatsapp?" oppure "qualcun altro è senza apostrofo?" e quindi la parola raminga era finita raminga nel mio animo.

Ramingo proviene, secondo alcune intepretazioni dal provenzale ramenc congiunto a RAMO. per esempio c'è una situazione analoga in tedesco dove astling /ast è ramo/ è contrapporto a nestling, dove nest è nido.
Con ramingo si descriveva il giovane falco che si sposta di ramo in ramo perchè così giovane da non saper star fermo al posto.
La radice ING unita all'antico tedesco RAMEN -  errare - fa fortemente sospettare una provenienza  germanica del termine.

Ramingo quindi si dice di colui che va errando di luogo in luogo, senza sapere dove voglia andare.
(E ora non riesco a smettere di pensare al termine "casalingo" che in realtà potrebbe significare colui che vaga di casa in casa, senza trovare mai la propria)

Penso al mio quotidiano, rispetto alle disperate valigie (valige o valigie?) che ho fatto prima dei trent'anni. (Eh, sì, l'ultima volta che ho postato non avevo ancora trent'anni!) Penso al fatto che il mio moto è ora centripeto più che centrifugo. Penso che prima segnavo traiettorie come una pallina da flipper, mentre ora il rollio è più simile a quello di una roulette. Gli ultimi scatti, la pallina che deve decidere se è nero o bianco.
Mentre quando sei raminga fai il giro di tutti i rami e ogni albero è entusiasmante: salice - il primo, indimenticato - faggio, pioppo, quercia, castagno, noce, pino, pino marittimo, se ti spingi oltre persino l'eucalipto odoroso- il tempo di guardare il panorama e decidere che no, non è ancora quello il ramo.
Che non è quello l'uomo.
Non è quella la donna.
Non è quello lo slogan.
Che non è quello il mestiere.
Non è quella la via.
E neanche quello l'abito.
Che ce ne sono altri. E altre.

Dopo un po', poichè le distese si fanno più chiare e aperte, i rami diventano più rari.
Ci prende la distanza, per sete o per stanchezza. La voglia di poggiarsi ancora un po', per non cambiare così tanto e sentirsi sempre all'inizio, sempre abusivi.
E fino a quando si può essere raminghi?

Forse sempre, perchè come dice il pio Lello: una sola è la strada / retta e raminga.

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