mercoledì 1 ottobre 2014

PALESTRA

Leggo un libro in cui la protagonista guarda la sua amica Connie, una sera mentre si annoiano insieme in camera. La protagonista pensa che non vuole essere come Connie che divora vassoi di dolcetti e poi fa i salti in camera. Dice di volere di più di quello. E la sera stessa si avventura nel letto di un ragazzo con cui farà l'amore. Li chiama "jumping jack", i salti di Connie. E' quell'esercizio in cui con un salto apri il corpo a x, portando le braccia in alto a v e le gambe divaricate. So che si chiama così perchè vado in una palestra dove ci fanno fare i jumping jack.
I jumping jack, gli squat, i fly back, roll-up, i crunch, sono diventate le mie istruzioni minime per resistere al crollo. Il mio antidoto alla stasi, al vuoto e ai biscotti. Chiudermi in una sala con decine di sconosciute che non frequenterei mai - e con cui non devo necessariamente parlare - con una musica massacrante a strizzare i muscoli (strizza! resisti! controlla!) sembra essere la soluzione migliore che ho trovato finora per andare avanti.
E infatti scopro che PALESTRA deriva dal greco PALAISTRA, composto di PALE, lotta, che però contiene PALLO scuotere, ed è quindi una lotta che scuote, agita, preme. Agli inglesi abbiamo lasciato la GYM, da gymnazein, il luogo dove ci si esercita, dove si viene addestrati. Noi ci siamo tenuti il luogo della lotta. 
Ostaggio di istruttori psicotici che usano espressioni come "andiamo a far lavorare" o "andiamo a distendere"o "la perfezione esiste", tutte noi ci compriamo una dose di spossatezza e di oblio nel modo meno avventuroso possibile. Dopo un'ora di gag io ho dimenticato tutto,  il mio nome, il mio generico inquinamento esistenziale, persino lei. E ben venga l'istruttore checca che si fa chiamare Adam e mi tira più in alto la gamba intimando il silenzio. Dio sia lodato per ogni giro di passè sullo step, per ogni attraversamento, per ogni serie di taglienti addominali. E infine, venga a me ogni orrendo brano di dance anni novanta remixato: perchè diciamocelo, nella palestra qualsiasi cosa, per quanto innovativa, ha il suono degli anni novanta. 
La lotta è ingaggiata, è una lotta a qualsiasi infiltrazione di dolore. E' una lotta al linguaggio, alle sfumature, persino a tutto ciò che esploro fuori (ascolto, percezione, attenzione, intuizione), tutto viene sbranato dalle fameliche istruzioni, dagli affondi, da corsi che hanno nomi come bodyattack e body pump. Dentro di me si agita la lotta più forte: voci che mi dicono chiaramente "ma non è questo il mondo che desideri!", "tu non parli così!", "tu non sei un pollo da batteria", "la palestra sta alla vita come la masturbazione al sesso, non lo vedi che è pura simulazione, è solo strumentale?". Eppure. Eppure.
Ma io in palestra ci torno volentieri. Negli anni, ad ogni caduta, ad ogni giro di smarrimento, la palestra, con quel suo sorriso sereno, plastico, totalmente indifferente ai tremolii dell'anima, mi ha sempre accolto senza fare domande, senza chiedermi niente, lasciandomi uno step o dei pesi da spostare, un phon per asciugarmi i capelli e un bagno turco dove piangere. (E non so dirvi perchè ma io nel bagno turco ci piango proprio bene).
Ogni tanto, con occhi bovini dopo quaranta minuti di saltelli e resistenze e flessioni, incrocio lo sguardo di un'altra e per un secondo esiste la possibilità di uno scambio fraterno, una solidarietà così preziosa proprio perchè rara- 
Poi l'istruttore urla "da capo!" disegnando con la mano un cerchio sulla testa. Allora ognuno ritorna al proprio dolore e la mandria ricomincia a correre.

Appunti privati che non so dove mettere:
che questa sia, in senso stretto, la sola fulminante maledizione che possa io mandare in tutta la mia vita. Perchè per colpa tua per un mese mi sono svegliata alle sei di mattina e ho seguito un'ora di gag con un'istruttrice indemoniata e musica techno come se tuonasse. Per colpa tua - per dimenticarti - ho fatto zumba (cristo, zumba!). Per dimenticare te - e questo non te lo perdonerò mai - ho dovuto accettare l'aberrazione sincretica del piloga: il pilates con yoga. Che tu sia maledetta per questo, ti auguro crampi incontenibili e istruttori mollicci. 

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