giovedì 27 ottobre 2011

CAFONE

Mio padre in macchina, mentre giravamo l'Italia, parlava di tre cose: Berlusconi, De Andrè e la lingua italiana. Ogni volta che ci avvicinavamo a una città, che fosse Milano, Roma, Ferrara o Torino, lui faceva: ti ho mai detto da cosa deriva la parola Cafone?
E io, no, racconta! oppure sì. Ma tanto era lo stesso, lui me la raccontava con le stesse parole. E a me andava bene perchè mio padre, da buon contadino, racconta le storie a meraviglia.
In passato (un passato che wikipedia data intorno al 1400, ma che per me è un passato senza confini), gli allevatori ciociari, quando scendevano dalle montagne e dai colli per andare in città, arrivavano con delle funi arrotolate alle spalle o alla vita per vendere i prodotti al mercato, avevano talmente paura di perdersi per le strade della città che si legavano l'uno all'altro con la fune.
Di conseguenza li chiamavano quelli co'a fune. I cafoni.
Poi diventi grande e scopri che in realtà avevano la fune per legare il bestiame e che l'intepretazione di babbo era un pel0 romanzata. Poi scopri che oltretutto non è l'unica spiegazione ma ce ne sono molte: che gli etimologi, quelli di professione, preferiscono l'intepretazione che fa derivare cafone da cabonem, cavallo castrato. Oppure dal centurione Cafo e i suoi rozzi seguaci che si insediarono nella zona di Capua. Oppure addirittura potrebbero essere i traslocatori napoletani che erano chill'co a fune, che serviva per legare i mobili e "scenderli" dai piani.
Infine capisci che la spiegazione di tuo padre va benissimo e continui a immaginare di entrare in città legata al tuo papà con una fune invisibile che così non ci si perde.

Nessun commento:

Posta un commento